La gente non si è stancata di andare allo stadio: semplicemente costa troppo
Stadio mio, quanto mi costi. Verrebbe da dir questo, a legger qualche numero sulle presenze negli impianti, italiani e non.
Andare a vedere una partita dal vivo costa sempre di più e, soprattutto nel nostro paese, questo sta creando non pochi seggiolini vuoti.
Diventa facile preferire il divano di casa: un posto caldo, low cost (anche se anche qui le pay-tv alzano verso l’alto l’asticella dei costi) e con mille comodità.
Di parlare se ne parla. Perlopiù ne parlano i tifosi: quelli del Bayern Monaco, infatti, non perdono l’attimo per puntare il dito sul caro biglietti.
Recentissimamente lo hanno fatto a Parigi, nell’andata degli ottavi di Champions League, occasione in cui sono stati costretti a sborsare 70 euro per assistere al match vinto da Coman e compagni sul Psg di Messi, Neymar e Mbappé. Uno striscione chiaro, duro, inequivocabile: «70€? Ancora non siamo Neymar. 20 è abbastanza».
Il tutto nella notte in cui, in Italia, si registrava il record di incassi in una partita di calcio: 9.133.842 di euro al botteghino di Milan-Tottenham, per un biglietto medio da 122 (!!).
Ma per un ottavo di finale di Champions che fa sold out, ci sono tanti posti vuoti in partite non di cartello che fanno capire come questa non sia la strada giusta da prendere.
La crisi morale del calcio
Il discorso è assai semplice. Tutto nel calcio si sta moltiplicando. Costi e ricavi stanno assumendo, anno dopo anno, incrementi senza logica e, nella stragrande maggioranza dei casi, chi paga sono i tifosi.
Si alzano i prezzi dei biglietti, delle maglie, delle Pay tv. Seguire la propria squadra del cuore sta iniziando a essere sfidante: sia dal lato temporale (sempre più partite in sempre meno tempo), sia dal lato economico.
Si pone il fan davanti a una scelta, per certi versi, assurda: quella di seguire la propria fede calcistica a scapito, a volte, di più impellenti necessità finanziarie.
Il tutto con lo scopo di innalzare i fatturati, destinati comunque a essere sperperati sempre di più: basti pensare che gli ingaggi dei calciatori, di decade in decade, si sono gonfiati senza soluzione di continuità.
È inevitabile che in un contesto di tale (poca) portata a livello morale, la gente si disaffezioni, andando poi a scegliere forme alternative d’intrattenimento.
Il punto di non ritorno non è poi così lontano: il popolo sta percorrendo, sempre più, la strada che porta progressivamente al distaccamento dal calcio, perlomeno dal calcio che conosciamo oggi. E dire che riavvicinarlo non sarebbe neanche così difficile.
L’esempio della Roma
Basti guardare, per esempio, quello che negli ultimi anni ha fatto la Roma. Il club giallorosso, domenica contro il Bologna, farà registrare il 25esimo sold-out consecutivo.
Da un anno l’impianto giallorosso non scende mai sotto i 60mila spettatori e il picco più alto è arrivato in estate, in un’amichevole: Roma-Shakhtar, 65.303 presenti.
Se si pensa che questo sia frutto del caso o dei risultati sportivi (fattore comunque sempre importante), si va fuori strada.
La Roma ha fatto bingo, partendo dai 64.266 del match con la Salernitana del 10 aprile 2022, data in cui in Italia si è potuti tornare alla piena capienza degli stadi.
A muovere la massa giallorossa c’è stato l’avvento della proprietà Friedkin, il carisma di uno come Josè Mourinho e, soprattutto una strategia marketing e ticketing vincente.
Prezzi alla portata di tutti, a partire dai 10 euro nelle gare di Conference della scorsa stagione. Un percorso che ha, per certi versi, riabituato la gente ad andare allo stadio e reso di nuovo “alla moda” andare all’Olimpico.
In breve: meglio uno stadio sempre pieno anziché uno che incassi tanto solo 3-4 volte all’anno. Si chiama ricostruzione: di uno zoccolo duro di presenze, fondamentale in un contesto come quello giallorosso, che da tempo brama la costruzione di un nuovo stadio.
Non è un caso che la Juventus abbia pescato proprio dal club giallorosso il nuovo Venue Business Director, Paolo Monguzzi.
Dopo due ottimi anni in giallorosso, la società piemontese si è affidata a lui per eliminare i vuoti che, dopo un decennio di sold-out, popolano da mesi l’Allianz Stadium.
La rabbia dei tifosi del Catania
Il caro biglietti, peraltro, colpisce tutti e in tutte le categorie. Ne sanno qualcosa i tifosi del Catania.
La rinata società rossazzurra ha stravinto il campionato di Serie D, riempiendo domenica dopo domenica i campi di provincia in cui è stata costretta a cimentarsi.
Nel match esterno contro il Città di Sant’Agata di qualche settimana fa, però, la tifoserie etnea ha esposto uno striscione chiaro: «Le mani le alziamo noi, la rapina la fate voi».
Un messaggio di denuncia su un aspetto che è stato un leit-motiv della stagione rossazzurra, con le società che si preparavano ad ospitare il Catania sempre pronte ad alzare il costo dei biglietti del settore ospite.
Fra deriva e speranza
In base a quanto scritto, insomma, ci sentiamo di dire che no, la gente non si è stancata di andare allo stadio. L’evento partita live è e continua ad essere probabilmente il motivo per cui il calcio riesce ancora ad attrarre e sedurre gli appassionati.
Urge, però, far fede alla premessa primordiale di questo sport, da sempre considerato del popolo e che, del popolo, inizia più a non esserlo.
Imparino bene la lezione Roma le altre squadre italiane: per tornare grandi all’estero bisogna innanzitutto tornare grandi fra le mura (e gli stadi) domestici.
Bisogna ricominciare a offrire al mondo stadi (ahimè, brutti) perlomeno pieni. E per farlo serve anche cercare di venire incontro a un popolo che, a livello economico, fronteggia continui ricari. Magari sarebbe il caso di evitare che accada anche col calcio.
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