L’approccio ai diritti civili da parte del Qatar rispetta le volontà di Jules Rimet?
Manca un mese esatto all’inizio della Coppa del Mondo, centro nevralgico della passione calcistica e punto di riferimento storico, attuale e futuro per questo sport.
Un inno al football, capace di unire, almeno per un mese, un pianeta che non è mai stato adeguatamente all’altezza per superare i limiti dei contrasti figli della diversità fuori dal campo da gioco.
Un evento incredibile per portata e significato. In grado di raccogliere l’attenzione e la passione davvero di tutti. Dal bambino nella propria casa diroccata nelle favelas di Rio de Janeiro, al tifoso camerunense, fino al ricco imprenditore europeo. Creando un’unità d’intenti mai esistita in contesti extra sportivi, rappresentando il mondo prima del futbol.
Un approccio ed una mentalità che la FIFA ha ereditato da un uomo su tutti: Jules Rimet, a tutti gli effetti il padre e l’inventore della Coppa del Mondo. Che, nel 1928, supportato dal congresso della Federazione Internazionale grazie al voto favorevole dei suoi 30 membri, ottenne il nullaosta per creare un torneo che potesse rispettare i propri principi umanisti ed idealisti trainati dall’idea che lo sport potesse unire il mondo.
Ora, a 31 giorni dall’inizio della FIFA World Cup Qatar 2022, 22° edizione di un evento che deve completamente la propria nascita al pioniere di Theuley, ci si chiede se negli anni qualcosa non sia andato storto. Se i crimini di cui si accusa il Qatar compiuti nell’organizzazione del tutto non siano completamente difformi con la ratio che ne ha dettato la creazione.
Con il rispetto di ogni classe sociale e della volontà di voler unire. Valori che sembrano onestamente distanti dal numero di morti bianche che stanno macchiando indelebilmente un torneo che parte già sconfitto prima di cominciare.
Jules Rimet, padre del Red Star e del Mondiale
Jules Rimet è a tutti gli effetti uno dei pilastri del calcio moderno.
Grazie ad una mentalità completamente inusuale per gli anni ’20 del ‘900, periodo storico ricordato per l’avvento di totalitarismi nazionalistici molto distanti dal concetto di libertà e, soprattutto, di unione umana.
Un dirigente che è sempre stato capace di maturare una visione a 360° del calcio, cogliendone l’impatto sociale e mediatico oltre a quello prettamente sportivo. Comprendendo tutte le opportunità di cambiamento che un veicolo su larga scala come questo poteva e può garantire.
Il nipote Yves l’ha infatti sempre descritto così: “Mio nonno era umanista ed idealista, convinto che lo sport potesse unire il mondo”.
Un credo che in contesti ed anni del genere non poteva che fare breccia e creare un solco con l’unica volontà dell’epoca di rafforzare i contesti nazionali attraverso una mentalità che fungeva da anticamera per il distacco e la separazione dal resto del globo.
Ma ciò che rende davvero speciale Rimet è stata la sua capacità di concretizzare le proprie volontà, incombendo nel football trainato dal credo di poterne elevare le qualità sociali. Una vision alimentata dalle condizioni della propria famiglia, umile e povera, e da una formazione cattolica.
Da sempre estremamente devoto, infatti, imposta i propri studi sulla Rerum Novarum emanata da Papa Leone XIII, venendo letteralmente catturato da questa lettera destinata a tutti cattolici attraverso la quale il pontefice condannava la miseria e l’indigenza che gravavano sulla maggioranza della classe operaia.
Fonte che trasforma immediatamente in ispirazione e che lo porta nel 1897, all’età di 24 anni, a fondare nel sobborgo parigino di Saint-Ouen un proprio club di calcio: il Red Star Sporting Club.
Non una semplice squadra di calcio, ma una realtà che voleva sin da subito superare il normale concetto di club, occupandosi tanto dei fattori calcistici, quanto di quelli sociali.
Una colonna portante del regolamento societario era infatti quella di non rifiutare mai nessun membro per motivi di classe, principio completamente difforme con il costume dell’epoca e che finì fisiologicamente con attrarre le forti simpatie della realtà operaia della capitale.
Legame peraltro mantenuto nel corso degli anni e che ha portato per esempio David Bellion, ex attaccante del Manchester United e proprio dei parigini fino al 2016, a voler assumere un ruolo dirigenziale nel club per mantenere saldi i legami con il core di questa realtà.
Dichiarando: “La Red Star è un club di calcio underground, romantico e popolare, dove non esiste uno status sociale. Il club non è costruito solo per la vittoria ed il successo, ma è un simbolo di libertà e creatività”.
L’esaltazione e la rappresentazione, quindi, della forma mentis di Rimet. Il quale, pochi anni più tardi, riuscì ad ampliare a macchia d’olio la propria presenza nel calcio.
Nel 1910 fonda, infatti, il primo campionato nazionale francese, la Football Association League, e nove anni più tardi si dimostra essenziale anche nella creazione della Fédération Française de Football (FFF), pilastro e testa del movimento transalpino di cui divenne presidente e che ha finito poi col colorare la storia di questo sport con atleti immortali come Henry, Zidane e Platini.
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Passaggio della carriera di Jules che sarà assolutamente determinante per la nascita della Coppa del Mondo grazie all’affiliazione della federazione d’oltralpe alla FIFA. Legame che gli permise di iniziare ad insistere con i massimi vertici del football internazionale per creare una competizione di respiro globale.
La nascita del Mondiale
L’ascesa di Rimet nel calcio è ormai implacabile. Dopo soli due anni dall’essere diventato il plenipotenziario del futbol transalpino, ottiene anche la posizione di presidente della FIFA. Momento che tutti dovremmo vedere come la nascita della Coppa del Mondo. Del rigore di Grosso, del barrilete cosmico, del gol di Iniesta in finale con l’Olanda. Tutto parte da qui.
Il ruolo ricoperto gli permette infatti, finalmente, di cambiare le cose e di elevare il calcio.
Aiutato dalla Croix de Guerre ottenuta per aver combattuto la Prima Guerra Mondiale e quindi di un riconoscimento professionale altissimo per quegli anni inizia a diffondere il verbo per convincere tutti di come lo sport potesse permettere di superare la miriade di problematiche politico-sociali dell’epoca, organizzando un evento sano e calcistico di portata mondiale.
Premendo peraltro sullo stesso principio che qualche anno prima l’aveva portato a dare i natali al Red Star. Ovvero che la FIFA ormai fosse abbastanza forte ed indipendente per permettersi di creare autonomamente il torneo e di dettare, così, le proprie regole. Tra le quali doveva primeggiare quella all’insegna dell’inclusione di tutti e quindi anche dei professionisti delle classi sociali più basse. Minacciando, in caso contrario, di creare autonomamente un evento di queste fattezze.
Un lavoro ai fianchi che portò il Congresso FIFA, riunitosi ad Amsterdam nel 1928, a votare favorevolmente per l’istituzione della Coppa del Mondo quadriennale. Ottenendo sin da subito il consenso di Francia, Belgio, Jugoslavia e Romania.
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Risultato che condusse all’organizzazione della prima edizione, in Uruguay, nel 1930. Mondiale vinto proprio dalla Celeste in un territorio così distante dell’Europa. Sinonimo di come Jules Rimet, un francese della Borgogna, era stato capace di capovolgere il destino di un pianeta che stava conoscendo in quegli anni il lato più oscuro di sé.
Victory, Rimet, FIFA World Cup
La competizione ha cambiato tre nomi nell’arco della propria storia.
Il nome assegnatale nel 1929 è stato infatti quello di Victory Cup per poi venir rinominata nel 1946 Coppa Rimet, in giusto omaggio all’uomo che si era tanto battuto per determinarne la creazione.
Un’identità che oggi si è però persa a fronte di cambiamenti di ammodernamento e regolamento che hanno condotto il torneo a dar completamente risalto alla federazione in sé, alla FIFA, piuttosto che ad un proprio, per quanto fondamentale, ormai vecchio presidente.
Dal 1974, edizione vinta dalla Germania Ovest, la denominazione è FIFA World Cup, piuttosto benevola per noi italiani considerando le vittorie nel 1982 e nel 2006.
Seppur superata, tuttavia, la Coppa Rimet rappresenta ancora l’anima più pura del Mondiale e bagaglio di lotte per l’uguaglianza sociale che forse, purtroppo, sono finite con l’esser date per scontate e, talvolta, anche dimenticate. E che ha portato alla premiazione, durante la propria esistenza dal 1954 al 1970, la già citata Germania Ovest, per tre volte il Brasile e l’Inghilterra, capace nel 1966 di interrompere momentaneamente il dominio carioca.
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