Iran vs USA: la partita più politica del Mondiale
Il calcio, al pari di musica e cinema, è a tutti gli effetti un fenomeno di massa. Capace, cioè, di coinvolgere milioni di persone e superare di riflesso i propri confini.
Si circonda di adepti e appassionati fino ad assumere portate mondiali, toccando contesti culturali e politici e con essi l’attualità. Come le canzoni e i film, appunto.
Sportivi, allenatori e dirigenti altro non sono che persone, perfettamente connesse con ciò che succede fuori dai gate di uno stadio e portatori di opinioni, idee e visioni della vita.
Segnale chiaro di come il gioco non possa fisiologicamente essere un corpo estraneo in una società che al contempo lo incorona come lo sport più seguito al mondo.
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Gli impianti diventano incubatori di ciò che avviene all’esterno, al punto da rendere inverosimili e innaturali le recenti affermazioni di Gianni Infantino, presidente della FIFA, reo di aver chiesto ai calciatori presenti al Mondiale di “concentrarsi sul campo e non lasciarsi coinvolgere in battaglie ideologiche o politiche”.
Impossibile scindere il mondo del calcio da quello che lo circonda e che lo rende un pilastro per milioni di persone. Aspetto che è sempre stato palese e che si percepisce molto chiaramente vedendo come lo sport reincarni l’attualità.
Dalle curve del tifo organizzato italiano, nate come falange ribelle della guerra urbana degli Anni di Piombo e della dicotomia ideologica tra destra e sinistra, alle esultanze dei giocatori d’origine albanese ma con addosso la casacca della Svizzera ogni volta che giocano contro la Serbia. Fino alla FIFA World Cup Qatar 2022.
Quella qatariota è infatti una delle edizioni che più di tutte, nella storia della competizione, sta scoprendo il fianco a questo intreccio inevitabile.
La scelta di Blatter di aggiudicare l’organizzazione del tutto ad un Paese ricchissimo come il Qatar per mere ragioni economiche o quella della Germania di “bendarsi” durante la foto pre-match per condannare, guarda un po', la politica locale ne sono un esempio lampante.
Così come la Nazionale iraniana e la sua presa di posizione data dal non cantare l’inno per palesare in mondovisione la propria avversione nei confronti delle condotte femminicide del governo di Teheran.
Popolo persiano che, insieme a quello americano, viene, inoltre, chiamato in causa anche per altre questioni totalmente extracalcistiche, ma non per questo dimenticate durante i 90 minuti: la fortissima rivalità tra Iran e Stati Uniti. Nata 70 anni fa e talmente profonda dal portare l’81% degli iraniani a covare opinioni tutt’altro che positive nei confronti degli USA, secondo una ricerca statistica condotta da un’emittente canadese nel 2018.
Il Girone B del Mondiale è infatti un assoluto libro di storia e metterà di fronte da un lato Taremi e Pulisic e dall’altro, contemporaneamente, Galles e Inghilterra, realtà nazionali che, per usare un eufemismo, non si vogliono particolarmente bene.
La disputa tra Iran e Stati Uniti
Quella tra Stati Uniti e Iran, tuttavia, è una questione molto più complessa ed intricata di quella anglosassone, figlia, quest’ultima, di normalissimi screzi campanilistici tra vicini di casa, ma non più oggetto di preoccupazione per le rispettive popolazioni.
La distanza tra Teheran e la Casa Bianca rappresenta infatti una delle esacerbazioni dei difficili rapporti internazionali tra USA e Medio Oriente e affonda le proprie radici in una disputa nata quasi 70 anni fa, nel 1953.
Come conseguenza di un punto di rottura scaturito dalla decisione della CIA di organizzare un colpo di Stato col fine di rovesciare il primo ministro iraniano dell’epoca, tale Mohammad Mossadeq, per favorire l’altro candidato Reza Pahlavi. Sullo sfondo la volontà del primo di nazionalizzare le compagnie petrolifere e, di conseguenza, ostacolare un mercato preziosissimo per l’occidente.
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Azione americana passata alla storia per aver violato completamente la sovranità nazionale dell’Iran senza che il tutto fosse giustificato dal voler interrompere una guerra in atto.
Uno smacco pesantissimo per la popolazione locale che non ha potuto far altro che innescare una forte avversione tra i due Paesi.
La rivoluzione iraniana del 1978-79, infatti, è vista da molti come la risposta dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini al colpo di Stato, determinando un effetto domino di screzi e conflitti e alla ferma volontà del nuovo regime di prendere totalmente le distanze da quello che in Iran veniva visto come un lento fenomeno di occidentalizzazione.
Tanto da indurre ad una totale rottura delle relazioni diplomatiche tra le Nazioni, a seguito della decisione dei rivoluzionari locali di tenere in ostaggio 52 ambasciatori statunitensi a Teheran per più di un anno. Vicenda descritta anche dal film Argo del 2012, diretto da Ben Affleck.
Distanze decisamente troppo ampie e recenti per poter condurre ad una normale partita di calcio e che scoprono il fianco ad inimicizie attuali, aventi lo sport come pretesto.
L’Iran chiede l’espulsione degli USA dal Mondiale
Secondo quanto riportato dal New York Times, infatti, lo Stato del Golfo avrebbe espressamente richiesto alla FIFA di espellere l’U.S. Soccer dalla FIFA World Cup Qatar 2022 a causa di un presunto post pubblicato su Twitter e Instagram, e poi eliminato, dagli esponenti della Nazionale americana che, a detta degli accusanti, avrebbero mancato di rispetto alla bandiera iraniana, rappresentandola senza l’emblema ufficiale del Paese e rimuovendone i caratteri islamici.
Una condotta che ha portato Safia Allah Faghanpour, consulente legale della federazione calcistica iraniana, a dichiarare: "Rispettare la bandiera di una nazione è una pratica internazionale accettata che tutte le altre nazioni devono emulare.L'azione condotta in relazione alla bandiera iraniana è immorale e contraria al diritto internazionale".
Benzina su un fuoco che non si è mai spento e che non accenna a placarsi, neanche a distanza di anni.
Un vero e proprio polverone, condito anche dalle parole di Jurgen Klinsmann, tedesco ma ex allenatore proprio degli USA dal 2011 al 2016, attaccato pesantemente dall’allenatore del Team Melli Carlos Queiroz e da tutto l’Iran per aver dichiarato: "Il modo di giocare dell'Iran è una disgrazia per il calcio, ma sappiamo che è nella loro cultura. Inveire contro il quarto uomo per ogni fallo fa parte del loro modo di fare e Carlos è adattissimo per questa squadra: ha fallito in Sud America con la Colombia, poi con l’Egitto e poi è tornato in Iran".
Il precedente a Francia ‘98
Nonostante tutta la situazione appaia fortemente turbolenta e ben distante dall’essere risolta, è possibile registrare un precedente, questa volta squisitamente calcistico, tra le due Nazionali durante il Mondiale di Francia del 1998.
Partita che decretò una vittoria storica per l’Iran, la prima di sempre per la squadra ai Mondiali, e che condusse anche ad un inisuale clima di pace a quasi vent’anni dalla rottura totale dei rapporti diplomatici. Portando addirittura a foto miste tra calciatori iraniani e americani.
Un clima che tutti sperano possa ripetersi in Qatar.
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