I free agent anche nel calcio: evoluzione del mercato e scenari futuri

Dai 100 milioni per Bale nel 2013 al trend che vede sempre più stelle muoversi a parametro zero. Gli equilibri dei trasferimenti stanno cambiando, avvicinandosi sempre di più alle logiche dell'NBA.

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Il football - come lo chiamano gli inglesi - già da qualche anno ha iniziato a fondere le proprie tendenze con quelle del basket, almeno per quello che riguarda alcune dinamiche legate ai trasferimenti degli atleti.

Negli ultimi anni sono sempre di più, infatti, i calciatori che si muovono a parametro zero: si arriva alla scadenza del contratto, scegliendo - spesso in anticipo - la successiva destinazione. Un meccanismo che danneggia i club e gonfia i portafogli dei diretti interessati e dei loro agenti.

Le commissioni che derivano, infatti, da questa tipologia di trasferimento stanno diventando sempre più ingenti, al punto da spingere la FIFA a riflettere sulla possibilità di varare una regolamentazione adeguata.

Inizia, tuttavia, a essere forte la sensazione  che il calcio si stia muovendo sempre più nella direzione di sposare le logiche che animano il mercato della NBA.

Una lega in cui non si spende denaro per i cartellini, con gli atleti che vengono acquisiti in tre modi diversi: scambi, draft e free agency.

È proprio quest’ultimo a esser improvvisamente divenuto attuale nel panorama calcistico del vecchio continente.

Come funziona l’NBA

I free agent dell’NBA si equiparano sostanzialmente ai parametri zero del calcio, una volta chiamati anche svincolati.

Si tratta di quei giocatori che arrivano alla scadenza del contratto, scegliendo in autonomia quale destinazione prendere.

Vanno però sottolineati alcuni importanti fattori: in primis la possibilità che nei contratti possano esserci opzioni di prolungamento, alle medesime condizioni contrattuali precedenti, a favore di franchigia (team option) o giocatore (player option). 

Entrambe le norme permettono non solo il prolungamento ma anche la via d’uscita anticipata dal contratto ad un anno dalla sua scadenza.

Attraverso una regola chiamata Bird Rights, inoltre, una franchigia può rinnovare un contratto anche eccedendo il salary cap, ovvero il tetto salariale di spesa massima di una società. 

I free agent però si dividono in due categorie: unrestricted e restricted. i primi, privi di vincoli, possono firmare con chi vogliono alla fine del contratto.

I secondi, invece, hanno una forma di condizionamento molto importante: sono costretti a rimanere nella squadra di appartenenza nel caso in cui questa pareggi l’offerta presentata da un’altra franchigia.

È in questo caso che diventa molto importante il Bird Rights.

Non esistendo il meccanismo del pagamento dei cartellini, dunque, l’arrivo o la partenza di un giocatore è semplicemente frutto dell’abilità dirigenziale di stipulare la miglior offerta contrattuale possibile. Un po’ quello che sta diventando il calcio, specialmente nell’epoca post-pandemica, come vedremo più avanti.

Sempre più free agent calcistici

A supporto delle argomentazioni fin qui espresse, vi è la realtà.

Il 30 giugno prossimo, le prime quattro dell’ultima classifica di Serie A vedranno andar via a parametro zero un giocatore per loro fondamentale: Kessie lascerà il Milan, Perisic l’Inter, Insigne il Napoli, Dybala la Juventus.

Senza contare i vari Mkhitaryan, Belotti, Bernardeschi. Un meccanismo che va ripetendosi sempre più frequentemente: già l’anno scorso i rossoneri salutarono, tra non poche polemiche, Donnarumma e Calhanoglu, dopo lunghissime trattative non sfociate in rinnovi.

Sia chiaro, i nuovi free agent calcistici vanno e vengono, fanno giri immensi e poi ritornano.

Pensiamo a Paul Pogba: cresciuto nell’Academy del Manchester United, passato da svincolato alla Juventus, ritornato ad Old Trafford per 105 milioni di euro e, adesso, nuovamente in procinto di sbarcare a Torino e ancora una volta senza esborsi per il club piemontese.

Una parabola che certifica l’accentramento del potere dalle società ai calciatori, evidenza capace di indebolire sempre di più un sistema ormai schiacciato da una forza lavoro paradossalmente tirannica.

È la banconota che detta legge, predominando anche su fascino, ambizione e storia. Vedere per credere quanto successo a Parigi, città che continuerà a godersi le gesta calcistiche di Kylian Mbappé, reduce dal prolungamento col PSG di un contratto in precedenza pronto a scadere il 30 giugno 2022.

A lungo corteggiato dal Real Madrid, che offriva un contratto da un 23,5 milioni di stipendio netto annuo più un bonus alla firma di circa 129 milioni di euro, l’ex Monaco ha finito per accettare la proposta di Nasser Al-Khelaïfi: 118 milioni di euro alla firma con uno stipendio mensile di 4,7 milioni di euro (56,4 milioni l’anno), fino al 2025.  

I casi sono cresciuti negli anni, vedendo anche evolvere la concezione sociale di parametro zero.

Si è passati da uno status praticamente dispregiativo ad uno estremamente appetito, in cui non sono più i club ad avere potere contrattuale bensì i giocatori, insieme a procuratori e intermediari.

L’aumento esponenziale di quegli atleti che si spostano a fine contratto non risiede solo nella quantità, ma anche nella qualità: sempre più top players viaggiano da una squadra all’altra a zero euro.

Uno stravolgimento di equilibri pesante, che si avvicina al modello NBA, in cui spesso sono i cestisti a dettare le condizioni o a decidere in piena autonomia circa il proprio destino sportivo.

Cifre folli, poi il nulla: analisi del crollo

Insomma, quello che abbiamo di fronte agli occhi può essere definito come un cambiamento radicale, quasi filosofico.

Da studiare nelle università se esistesse, e forse ce ne sarebbe bisogno, un corso dedicato al calciomercato.

Al punto che ormai l’hanno capito tutti: i tifosi, molti dei quali iniziano a mettersi l’anima in pace; le società, che a un certo punto mollano le trattative per i rinnovi quando le richieste iniziano a diventare eccessive, quelle degli agenti comprese; infine gli stessi calciatori, che adesso iniziano a rifiutare proposte di rinnovo già due o tre anni prima del termine del contratto, dichiarando di voler andare a scadenza.

In questa fase di transizione è normale che un atteggiamento del genere abbia creato non pochi danni ai club. Sia ai più ricchi, che a quelli minori che puntano sulla valorizzazione dei giocatori per sopravvivere.

Gli esempi Kylian Mbappé e Dusan Vlahovic

Dobbiamo tornare al biennio 2017/2018, quello dove l’ottovolante del calciomercato ha raggiunto la vetta dei prezzi.

Si sentivano cifre folli, non lontane dai 100 milioni, per qualunque giocatore che si fosse messo in mostra in una competizione importante e avesse dalla sua la carta d’identità.

Due anni in cui si sono registrati i primi 4 acquisti più costosi di sempre: Neymar dal Barça al Psg (circa 220 milioni di euro), Mbappé dal Monaco al Psg (180), Dembelé dal Borussia al Barça (140), Coutinho dal Liverpool al Barça (135).

Se, qualche settimana fa, Mbappé avesse accettato di spostarsi al Real senza rinnovare coi francesi, avrebbero ricavato zero euro dal loro investimento, comunque in partenza esagerato.

Lo stesso sta accadendo ai club che vivono di plusvalenze, visto che nessun rinnovo contrattuale può più essere dato per scontato.

Nemmeno di chi hai cresciuto e lanciato da zero.

Fa scuola il caso di Dusan Vlahovic, che Rocco Commisso, patron della Fiorentina, è stato costretto a vendere a gennaio alla Juventus per 70 milioni per non rischiare di vedere disperso un patrimonio.

Ma viene da chiedersi: quante trattative del genere potremo ancora vedere, se con un po’ di mesi di pazienza si possono ottenere sconti da “svuota tutto”, tra il 50 e il 70% del prezzo del cartellino?

Da sempre il calciomercato funziona come una bolla, o come una spirale, scegliete voi l’immagine. Cifre più alte per i cartellini significano anche più soldi da spendere per i sostituti, e pretese più alte da parte di chi vende, a conoscenza della disponibilità economica dell’altro.

Ora che l’acquisto del parametro zero non è solo un colpo da biliardo dovuto alla bravura di certi dirigenti, ma è quasi una regola, è normale che anche chi all’inizio ha gridato allo scandalo e allo scippo dei propri gioielli poi ha finito per adeguarsi.

Ci viene ancora in aiuto la Fiorentina, che non hai mai perso di vista l’ipotesi di rinforzare l’attacco con Andrea Belotti, andato in scadenza col Torino, alimentando un circolo virtuoso di cui è stata vittima (anche se remunerata, come abbiamo visto) e che Commisso ha provato a combattere proponendo un decalogo per un calcio in cui i procuratori abbiano meno potere.

Gli scenari futuri

Ecco, tutto questo alla fine si riduce a una battaglia di potere.

Un potere che i club hanno perso e che non riescono a riprendersi visto che il valore della rosa e dei cartellini rappresenta pure gran parte del valore stesso di una società.

A maggior ragione se il Covid le ha private per quasi due anni di altri introiti (fino a quel momento) sicuri, come gli incassi delle sponsorizzazioni e quelli dei biglietti.

In un Paese, il nostro, dove queste voci sono più basse rispetto ad altri campionati perché quasi del tutto assenti impianti di proprietà.

Non può stupire, allora, che la capacità di spesa sul prezzo del cartellino sia ridotta ai minimi termini, e che “convenga” pagare una commissione di qualche milione a un agente piuttosto che sborsarne decine in più.

Ma gli stessi calciatori, consapevoli del loro valore e della loro centralità all’interno della football industry hanno deciso che era arrivato il tempo di monetizzare al massimo.

Come fare per riprendersi questo potere è un tema che è da un po’ all’ordine del giorno di presidenti e dirigenti, anche se ultimamente viene letta dai media piuttosto come una guerra agli agenti, che tra l’altro spesso si intascano commissioni da tutte le componenti di una trattativa.

Soldi, quelli dati ai procuratori, “che escono dal sistema calcio”.

Un mantra, che sentiamo ripetere di continuo dai club. Anche per questo da tempo si parla di una riforma del pallone, e di recente sono state svelate le nuove restrizioni previste per le commissioni agli agenti.



LA FIFA PRONTA A CAMBIARE LE REGOLE DELLE COMMISSIONI PER GLI AGENTI



Ben venga una regolamentazione, purché sia chiara e poi vengano effettivamente eseguiti i controlli.

Per chiudere, se guardiamo al futuro del calciomercato, tra le ipotesi deve anche essere inserita una fisiologica fine della bolla dei free agent.

Qualche giocatore che, una volta rimasto prigioniero del suo stesso ingaggio elevato e senza squadra, decida di invertire la tendenza. È già successo, può darsi che succeda con maggior frequenza se le richieste continueranno a crescere.

La storia del calciomercato dell’era post-Covid, del resto, è appena iniziata e tutta da scrivere.

Articolo a cura di Matteo Lignelli e Matteo Occhiuto

 



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