Da Messico'86 a Qatar 2022: il Marocco riscrive le sorti del calcio africano
Abbiamo passato le ultime settimane a chiamarla “cenerentola”, “underdog”, “sorpresa” o “prodigio”, come a voler trovare un modo per attribuire un significato ad un evento per noi assolutamente inspiegabile: il Marocco qualificato per le semifinali di una Coppa del Mondo.
La sconosciuta in mezzo al solito gruppetto di Nazionali europee e sudamericane, da sempre assolute dominatrici di un torneo che dal 1930 trova il proprio vincitore pescando nel Vecchio Continente o in un’America Latina trainata da Uruguay, Argentina e Brasile.
Ma che in realtà, sconosciuta, non lo è mai stata. Per la storia del movimento calcistico, ma soprattutto per la qualità dei 26 convocati da mister Walid Regragui, sottovalutati per il solo fatto di provenire dall’Africa, contesto sportivo sconosciuto al pubblico occidentale.
Troppo distante dai fasti della Champions League e dal gioco che conosciamo noi per essere davvero accreditata quale realtà credibile e competitiva. Il tutto nonostante ben 20/25 dei giocatori marocchini militino in campionati europei e in squadre di blasone come PSG (Hakimi), Chelsea (Ziyech), Bayern Monaco (Mazraoui) e Siviglia (Bounou, En-Nesyri).
Una squadra a tutti gli effetti di valore che non solo è riuscita ad ottenere punti e passaggi del turno contro Croazia, Belgio, Spagna e Portogallo, ma che è stata capace di creare un nesso con il passato non solo del Marocco, ma anche della stessa FIFA World Cup.
Una competizione che si diverte a rendere ciclica la storia, creando collegamenti temporali per certi versi anche inquietanti.
Nell’edizione, quella del 2022, da sempre dipinta come l’ultima occasione per Leo Messi di eguagliare Diego Armando Maradona vincendo un Mondiale e agganciando il trofeo di Messico 1986, la realtà magrebina ha emulato il più grande Marocco che si sia mai visto prima di oggi: quello proprio del 1986 in terra messicana.
Squadra che può essere vista oggi come la ragione delle prestazioni di Achraf Hakimi e compagni, ma anche di tutto il continente africano.
Mexico’86 come punto di svolta
Il calcio non è mai distinto dalla società che lo circonda, finendo sempre con incarnarne tutte le caratteristiche, sia positive che negative.
Venendo purtroppo toccato per anni da una mentalità che appena oggi si sta davvero aprendo al mondo, anche attraverso il gioco.
Fino al 1970, infatti, il rapporto tra l’Africa e la FIFA World Cup è stato praticamente inesistente, complice la volontà della Federazione Internazionale di dare supporto e attenzione alle sole grandi Nazionali, lasciando inesorabilmente indietro quelle africane.
Dalla prima apparizione nel 1934 con l’Egitto, infatti, per ben 36 anni non assisteremo a rappresentanti del continente durante una Coppa del Mondo. Fino, appunto, al campionato di Messico 1970, con il Tricolor che sembra vantare un rapporto storico intrinseco con l’Africa.
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Anni che, fino al 1978, permettono ad un Maghreb rappresentato da Tunisia, Algeria e Marocco di toccare i propri apici di risultati fino a quel momento, non limitandosi a qualificarsi dopo quasi 4 decadi di assenza, ma anche di ottenere la prima vittoria in un match ufficiale del torneo per mano dei tunisini contro, neanche a dirlo, il Messico.
Nordafrica a vessillo di un continente in palese crescita di movimento e di risultati, culminati in un Mundial 1982, il primo a 24 squadre e con due slot liberi per le africane, di cui si ricorda un Camerun imbattuto in un girone condiviso con gli Azzurri, poi campioni, la Polonia e il Perù e un’Algeria eliminata da un palese biscotto tra Austria e Germania.
Un Marocco brasiliano
Ma è la FIFA World Cup Mexico 1986 il punto di svolta africano, sulle ali dei Leoni dell’Atlante, soprannome da sempre legato al Marocco e figlio dei grandi felini tipici della catena montuosa locale.
In quella occasione e per dare continuità ai risultati maturati nel decennio precedente, infatti, la Federcalcio con sede a Rabat decise di affidare la panchina della Nazionale a José Faria, allenatore brasiliano ex Fluminense e all’epoca residente in Qatar.
Una scelta che a tutti gli effetti dimostra la volontà di alzare l’asticella e di interrompere la presenza totalmente marginale dello stesso Marocco, ma con lui di tutto il continente e che ha portato ad un successo davvero senza precedenti.
Grazie alla vision internazionale del proprio commissario tecnico e alla qualità di un team capace, tra le altre cose, di qualificarsi anche per le Olimpiadi del 1984, il Marocco diventa la prima squadra africana a passare un girone del Mondiale. Qualificandosi addirittura come primo in un gruppo con Inghilterra, Polonia e Portogallo.
Prodezza sportiva che finisce con assumere connotati macroscopici, considerando come dalla squadra di Faria in poi, ininterrottamente fino al 2014 compreso, l’Africa che fino a li non ne era stata capace per ben 56 anni porterà una squadra agli ottavi per i successivi 28. Le Nazionali capaci di superare il girone saranno infatti:
- Marocco (1986);
- Camerun (1990);
- Nigeria (1994);
- Nigeria (1998);
- Senegal (2002);
- Ghana (2006);
- Ghana (2010);
- Nigeria / Algeria (2014).
Dal Marocco della scocca decisiva per accedere nell’élite delle migliori 16 Nazionali del pianeta, al Marocco capace di battere ancora ogni record e di qualificarsi tra le prime 4. Le sorti dell’Africa passano sempre per Rabat.
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