Ascesa e picco del progetto calcistico cinese
Lo sport, e nello specifico il calcio, è sempre stato contraddistinto dalla presenza di gerarchie marcate, tali da distribuire l’applicazione di qualsiasi disciplina in giro per il mondo, ma da rendere alcune realtà nazionali innegabilmente più avanti di altre. Sotto un punto di vista culturale, d’interesse e, successivamente, qualitativo.
Pensi al calcio e ti viene in mente il Brasile, gli Stati Uniti sono la capitale della pallacanestro, nessuno più degli All Blacks ti farà appassionare al gioco del rugby.
Aspetto che nell’ultima decade è risultato essere davvero evidente, specie per quanto riguarda il football. Se si analizzano gli ultimi dieci anni, infatti, ci si rende conto di come questa decade abbia portato a degli stravolgimenti calcistici di grande impatto. Rendendo altrettanto evidente, però, come pochissimi di questi siano stati davvero capaci di modificarne i connotati, al punto da alterarne le gerarchie.
Simbolo di questa considerazione è, per distacco, il movimento calcistico cinese. Sia a livello di club che di Nazionale.
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Il gigante asiatico, infatti, trainato dal proprio governo autoritario, ha provato in tutti i modi a mettere le mani sul mondo del calcio. Investimenti miliardari, acquisto di stelle europee, normative interne per fare crescere il movimento e controllo di società storiche del Vecchio Continente.
Cavalcando il sogno e l’obbiettivo di sfruttare le proprie, immense, capacità finanziarie per diventare una superpotenza del football entro il 2050. Con il calcio sfruttato come veicolo perfetto per ostentare al mondo la potenza comunista del Paese e divulgare un messaggio di forza, anche calcistica, dopo aver raggiunto risultati eclatanti nei medaglieri olimpici.
Ora, alla luce della mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 e del 2022 complici le ancora palpabili distanze tecniche con realtà come Giappone e Corea del Sud e il forte ridimensionamento delle squadre di club, la domanda che sorge spontanea è: a che punto è il progetto di espansione calcistica della Cina?
L’avvento della Cina nel calcio
Per analizzare l’avvento della progettualità di Pechino a tema calcio bisogna partire da un anno ed un club specifici: il 2011 e il Guanzhou Evergrande. Anno che segna infatti un cambiamento delle gerarchie della Chinese Super League e che si protrarrà per tutti i sette anni successivi.
Una società diventata una potenza di fuoco locale grazie a degli investimenti mai visti prima nel Paese, aventi come picchi gli acquisti del brasiliano Paulinho e di allenatori dall’altissimo pedigree internazionale come Marcello Lippi e Luiz Felipe Scolari. Seguiti poi anche dalla leggenda azzurra Fabio Cannavaro.
Realtà in grado di ammaliare gran parte dei magnati locali, ad oggi in grandissima quantità considerando l’arricchimento vertiginoso della Cina, trainati anche dalla forte volontà dell’esecutivo di investire nel calcio. Una scintilla capace di portare alla nascita e allo sviluppo di squadre come lo Shangai SIPG e del Jiangsu Fc della multinazionale Suning, oggi proprietaria dell’Inter.
Evoluzione incontrastata che durante la stagione 2016/17 rende la Chinese Super League la lega più attiva nel calciomercato, spendendo la bellezza di 388 milioni di euro in solamente due mesi.
Una potenza economica spaventosa che definì la Cina una seria competitor del calcio europeo, al punto da far preoccupare l’allenatore del Chelsea Antonio Conte circa una possibile mancanza di concorrenza europea contro cifre di questa fattezza. Scottato, perdipiù, dalla perdita di uno dei talenti emergenti di quegli anni, Oscar, passato proprio di Blues a Shangai all'età di 26 anni.
Dall'arrivo del brasiliano, ogni settimana si sono susseguite notizie di acquisti da parte di club cinesi di giocatori militanti in Europa. Tra i quali spiccano:
- Oscar: dal Chelsea allo Shangai SIPG per 60 milioni;
- Hulk: dallo Zenit allo Shangai SIPG per 55 milioni;
- Alex Texeira: dallo Shakhtar allo Jiangsu Suning per 50 milioni;
- Jackson Martinez: dall’Atletico Madrid allo Guangzhou per 42 milioni;
- Ramires: dal Chelsea allo Jiangsu Suning per 28 milioni;
- Gervinho: dalla Roma all’Hebei Fortune per 18 milioni;
- Graziano Pellè: dal Southampton allo Shandong Luneng per 15 milioni;
- Guarin: dall’Inter allo Shangai Shenhua per 13 milioni;
- Alessandro Diamanti: dal Bologna allo Guangzhou per 7 milioni;
- Burak Yilmaz: dal Galatasaray al Beijing Guoan per 8 milioni;
- Lavezzi: dal PSG all’Hebei Fortune per 6 milioni.
L'idea di puntare sul talento locale
Volendo intavolare un progetto veramente strutturato e duraturo la scelta del governo asiatico fu quella di puntare sui giovani, portando il Ministero dell'Istruzione e la CFA ad avviare un programma massiccio per far giocare i bambini.
Alla fine del 2019, infatti, 27.000 scuole offrivano un'educazione calcistica speciale a circa 27 milioni di studenti, cifre che si pronosticava potessero raggiungere il picco, rispettivamente, di 50.000 istituti e di 50 milioni di alunni entro il 2025. Portando, oltretutto, alla costruzione e alla ristrutturazione di 40.000 campi da gioco.
Tentativo quindi, molto saggio di formare giovani atleti locali, al punto anche da inculcare e diffondere la passione e la cultura calcistica, aspetti sempre fondamentali affinché il gioco possa effettivamente attecchire sul territorio.
Prendendo spunto dai vicini di casa e rivali del Giappone, da sempre punto di riferimento asiatico per quanto concerne questo sport. Strategia che condusse ad una sensibile crescita, anche complice l’acquisizione, come visto, di giocatori internazionali capaci di portare visioni ed esperienze differenti.
L’inizio della crisi
Un aspetto assolutamente da non sottovalutare è dato dall'identità politica del governo locale. La Cina è infatti è una Repubblica Socialista Parlamentare Monopartitica, guidata dal presidente Xi Jinping. Nazione quindi dal credo unico, comunista e oligarchica.
Aspetto monopartitico che lascia davvero poco spazio a libertà di manovra, strategica e finanziaria. Situazione quantomai decisiva per le sorti del calcio cinese.
Le decisioni politiche segnano infatti indelebilmente le sorti del movimento: se Xi Jinping promuove la spesa i club possono investire, in caso contrario tutti gli investimenti vengono bloccati e ridotti. Situazione estremamente attuale per i tifosi interisti alle prese con questo tipo di problematiche sulle spalle di Steven Zhang.
Dal 2018, infatti, le autorità cinesi, allarmate dalle quantità di denaro investite per giocatori e agenti stranieri, si sono mosse per limitare le spese introducendo tasse sui trasferimenti e tetti agli stipendi.
Convinti anche dai risultati completamente assenti da parte della Nazionale, incapace di reincarnare il volto forte della dittatura, l'esaltazione del potere istituzionale cinese. Presentando, dal punto di vista calcistico, delle lacune che Pechino non è disposta ad accettare, specie se sottolineate da match contro realtà nazionali considerate inferiori rispetto alla propria. Decisione che ha capovolto completamente il trend.
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Il ricchissimo Guangzhou Evergrande, per esempio, è passato da essere modello nazionale ad avere un debito di 260 miliardi di euro e lo Jiangsu FC ha interrotto l’attività solamente tre mesi dopo aver vinto il titolo.
Sintomo di come la gestione del calcio, seppur ben intavolata con fondi e vision, sia totalmente instabile e per nulla autonoma, ancorata in modo indelebile a filosofie nazionali autoritarie.
Oltretutto la maggior parte delle 16 squadre del campionato è sostenuta finanziariamente da promotori immobiliari. Questo vuol dire che la flessione di quella fetta del mercato nazionale produce sempre effetti sul football.
Il crollo dei club cinesi
Oltre ai già menzionati Guangzhou e Jiangsu anche altri club hanno iniziato a soffrire la crisi, denotando come la problematica si sia espansa a macchia d’olio in tutto il Paese, rafforzata dalla pandemia del 2019.
L’Hebei Fc, ex squadra di Lavezzi e Gervinho, ha infatti rivelato di essere in difficoltà, non riuscendo, addirittura, a pagare le bollette dell’acqua o ad addossarsi le spese di viaggio per le trasferte.
Così come il Chongqing Liangjiang che, a causa anche del covid 19, non è più riuscita a pagare lo stipendio dei propri giocatori.
Ma, come detto, sono sempre le decisioni nazionali il fattore più influente sullo stato di salute del calcio. Aspetto che è tornato ad essere in auge quando il Governo ha deciso di sospendere il campionato da agosto a dicembre per aiutare la nazionale a qualificarsi per la FIFA World Cup 2022. Scelta che non solo non è servita, considerando la mancata qualificazione, ma che ha anche spinto il torneo in una situazione finanziaria ancor più problematica. Bloccare il gioco equivale a stopparne le entrate e così è stato.
Fallimenti Mondiali
I Mondiali rappresentano da sempre la miglior fotografia dello stato di salute di un movimento calcistico nazionale. Aspetto davvero lampante per quanto riguarda la Cina.
Nel 2016, infatti, la Chinese Football Association (CFA) ha annunciato l'intenzione di rendere il Paese una potenza asiatica entro il 2030 e addirittura un leader globale entro il 2050. Ambizioni fallite su tutta la linea.
Le volontà e le ambizioni sono sembrate decisamente esagerate per una squadra che, dal 1930 ad oggi, ha preso parte al torneo solamente per una volta, nel 2002.
Storia della competizione, quindi, totalmente distante dal Dragone e dai numeri desolanti:
- Uruguay 1930: non iscritta;
- Italia 1934: non iscritta;
- Francia 1938: non iscritta;
- Brasile 1950: non iscritta;
- Svizzera 1954: non iscritta;
- Svezia 1958: non qualificata;
- Cile 1962: non iscritta;
- Inghilterra1966: non iscritta;
- Messico 1970: non iscritta;
- Germania Ovest 1974: non iscritta;
- Argentina 1978: non iscritta;
- Spagna 1982: non qualificata;
- Messico 1986: non qualificata;
- Italia 1990: non qualificata;
- USA 1994: non qualificata;
- Francia 1998: non qualificata;
- Corea e Giappone 2022: primo turno;
- Germania 2006: non qualificata;
- Sud Africa 2010: non qualificata;
- Brasile 2014: non qualificata;
- Russia 2018: non qualificata;
- Qatar 2022: non qualificata.
I forti investimenti non sono minimamente riusciti a modificare il trend, complici una serie di fattori.
Oltre al ridimensionamento degli investimenti, infatti, pesano l’attuale forte differenza con realtà come Giappone, Australia, Iran, Corea e Arabia Saudita e il fatto che la forte presenza di giocatori stranieri abbia decretato un accantonamento di quelli locali, nonostante abbia contribuito ad ampliare la cultura calcistica.
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Oggi la Cina è 79° nel Ranking FIFA. Il 2050 è ancora distante, per il 2030 manca ancora quasi un decennio, ma appare lampante come la strada percorsa non sia quella giusta.
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