Storia delle prime sponsorizzazioni nel calcio
Parlare di sleeve sponsor e di valore di maglia dettato dagli accordi economici generati con diversi partner è diventata materia quotidiana nel mondo della Football Industry.
Qualsiasi iniziativa, societaria o federale che sia, ha sempre una mission venale, rendendo anche le vittorie sul campo un’opportunità di guadagno, oltre che di prestigio storico e sportivo.
Partendo da questo presupposto, si può affermare senza dubbio alcuno come le sponsorizzazioni rappresentino una delle voci a bilancio più importanti per i club, fungendo quasi da ossigeno per poter reggere i costi elevati e al contempo impostare politiche strategiche competitive, tali da poter permettere alla squadra di rendere al meglio sul campo.
Al tifoso nato dopo il 2000 può sembrare quasi impossibile immaginare un calcio senza gli sponsor di maglia.
Hanno fatto breccia nella cultura popolare la celebre pubblicità “la potenza è nulla senza il controllo” della Pirelli, sponsor dell’Inter, avente come testimonial Ronaldo il fenomeno.
Il sodalizio Barilla – Roma per ostacolare l’egemonia di De Cecco nella ristorazione capitolina, Opel Zafira sulle casacche dei Rossoneri e chi più ne ha, più ne metta. Potremmo citare mille casi.
Ma come e quando è avvenuto questo incontro tra sponsor e calcio?
Per rispondere a questa domanda è opportuno affrontare un itinerario storico e culturale, capace di condurci alla mentalità e alla consuetudine attuali.
La nascita degli sponsor
Inizialmente, gli sponsor erano fortemente malvisti dalle istituzioni apicali delle diverse federazioni nazionali.
Venivano considerati una macchia sui colori sociali tradizionali dei club, uno smacco al mos maiorum del pallone, impregnato di appartenenza e di quella purezza tipica dei valori sportivi.
Per questo motivo sono stati ostacolati, costringendo dirigenti e presidenti ad escogitare strategie geniali di marketing per aggirare gli ostacoli della legge.
Nonostante alcune teorie mai convalidate circa la nascita del fenomeno in Uruguay col Penarol, la prima sponsorizzazione ufficiale di maglia nei maggiori campionati è da registrarsi in Bundesliga e più precisamente a Braunschweig (Germania dell’Ovest) grazie all’omonima squadra della città, l’Eintracht Braunschweig.
Siamo nel 1972 e Günter Mast, il CEO di Jagermeister, sta tenendo un evento con colleghi e associati.
In quel periodo si stavano svolgendo gli Europei in Belgio e proprio in quella serata si doveva disputare la partita tra i tedeschi e l’Inghilterra. Da quel che si racconta gli ospiti iniziarono a guardare la partita, facendo capire a Mast il potenziale del calcio in termini economici.
A 12 chilometri dalla sede dell’azienda di liquori giocava proprio l’Eintracht e la società stava affrontando una profonda crisi finanziaria.
Scaturisce così un’idea rivoluzionaria: il presidente del Club Ernst Fricke e Günter Mast si accordano per una strategia di marketing che portasse benefici ad entrambi, ideando così la prima sponsorizzazione della storia.
Tuttavia in Germania vigeva un divieto e la DFB rifiutò categoricamente la proposta.
Mast allora decise di arginare il problema cambiando il logo del club con quello del liquore e modificando lo statuto societario, stabilendo che il simbolo ufficiale fosse il cervo, come quello aziendale, e non più il leone. La DFB per evitare inutili battaglie legali si arrese.
Credit to Classic Football Shirts
Nasce così il primo rapporto di partnership di sempre, cambiando drasticamente la storia del calcio.
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Questo evento ha fatto giurisprudenza, portando ad una diffusione a grappolo del fenomeno.
Il Bayern Monaco, infatti, copiò totalmente l’iniziativa dei connazionali, rimuovendo il logo del club dalle magliette, per apporvi quello dell’Adidas, volendo instaurare rapporti commerciali con il marchio di Herzogenaurach.
Questo indusse la Federazione tedesca a rimuovere il divieto, influenzando anche le altre nazioni.
Il calcio italiano
Fin dalle origini del pallone, in Italia, le società hanno cercato di ottenere profitti, come i colleghi stranieri, legandosi a degli sponsor.
Viaggiando peraltro a braccetto con le principali aziende del Paese, le quali vedevano nel calcio e nella sua popolarità il veicolo perfetto per farsi pubblicità e aumentare le vendite.
La FIGC, però, pose il veto per anni sull’iniziativa, costringendo anche i presidenti del Bel Paese ad ingegnarsi per dribblare gli ostacoli posti ex lege.
La prima a provarci fu l’Udinese.
I friulani, al tempo militanti in Serie cadetta, elaborarono un escamotage: la legge all’epoca vietava l’esposizione delle sponsorizzazioni sulle magliette, cosa che costrinse i bianconeri ad applicare il marchio della Sanson sui pantaloncini. Idea banale e geniale al tempo stesso, quasi pioneristica, ma che venne bocciata solamente dopo poche giornate, interrompendo la collaborazione con il marchio di gelati.
Considerando il tentativo fallito delle Zebrette, la vera stella polare delle sponsorizzazioni del calcio nostrano è sicuramente Paolo Rossi.
Pablito, infatti, funge da perfetto connettivo tra il Lanerossi Vicenza, squadra in cui ha militato, e l’altra protagonista della storia del nostro Paese, il Perugia.
Tuttavia i veneti, al contrario di come pensino erroneamente in molti, non rappresentano il primo caso di sponsorizzazione in Italia.
I Biancorossi furono infatti i primi ad esporre la R dello sponsor (Lanerossi) ma il club era di proprietà proprio dell’azienda tessile, quindi l’esposizione era equiparabile a quella dello stemma societario. Non potendosi quindi parlare di un rapporto di sponsorship con un brand esterno.
Il ruolo di pioniere, passa quindi in Umbria, più specificatamente a Perugia.
Verso la fine degli anni ’70 il Grifone era tra le squadre più competitive del campionato, grazie ad un organigramma societario ambizioso, con al vertice Franco D’Attoma.
L'obiettivo era quello di rendere il team sempre più performante, portando il presidente a decidere di acquistare proprio Paolo Rossi, reduce dai mondiali in Argentina del 1978.
Per concludere questa operazione di calciomercato erano però necessari soldi freschi, di cui il club non disponeva.
E, considerata la presenza del divieto, I Grifoni furono costretti ad aggirare la legge. Ma come?
Accordandosi col Gruppo Alimentare Buitoni-Perugina per utilizzare il logo del pastificio Ponte sulle casacche, in cambio di 400 milioni.
La normativa italiana, come visto, impediva tuttavia il raggiungimento dell’accordo commerciale. Gli umbri decisero allora di attuare un escamotage, fondando una società di maglieria, la Ponte Sportswear, la quale avrebbe fornito, in teoria, le divise ai giocatori.
Scelta del nome, ovviamente, tutt’altro che casuale, volendo palesemente richiamare il nome dello sponsor, senza però rendere celebre la collaborazione.
Sul petto delle casacche bianco rosse venne quindi apposta la scritta Ponte.
La Federcalcio non la prese bene ed iniziò la sua battaglia legale per far rimuovere la scritta.
Alla fine vi riuscì, ma nel frattempo il presidente aveva tappezzato con il marchio Ponte le tute d'allenamento, le pettorine, le panchine, e tutto ciò che avesse un minimo di impatto mediatico. Avendo la meglio nella querelle e segnando un punto di svolta storico per lo Stivale.
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Il calcio inglese
Pensi al calcio oltremanica e ti vengono in mente giganti come Manchester United, Arsenal e Liverpool.
Ma la protagonista del primo vero tentativo di sponsorizzazione nella storia del calcio fu l’umilissimo Kettering Town, società che, nel 1976, applicò il primo sponsor sulle maglie.
Punto nevralgico del club era Derek Dougan, giocatore, allenatore e amministratore delegato, praticamente un factotum, il quale si rese conto prima di tutti di quanto potesse fruttare ad una società il rapporto commerciale con un marchio che ne potesse rimpinguare il portafoglio.
Una volta retrocesso nel calcio dilettantistico, decise quindi di applicare la propria vision al Kettering, concludendo un rapporto di sponsorship di 4 anni con un’azienda di pneumatici locali, la Kettering Tyres.
In cambio sarebbe stato apposto sulla maglia, in maniera ben visibile, il nome dell’azienda ed il 24 gennaio 1976 la squadra scese in campo con le nuove divise contro il Bath City.
La federazione inglese, però, segnando un fil rouge con le situazioni in Germania e Italia, si oppose ed ordinò di rimuovere il brand dalla casacca.
Dougan fallì nel suo intento, ma tracciando comunque un solco con il passato.
Da quel momento infatti, col passare degli anni, la Premier League (prima First Division e poi Premier League dal 1994) cambiò drasticamente il proprio approccio, permettendo al calcio britannico di regalare alla storia di questo sport tra i rapporti sponsor – kit più iconici di sempre.
Tra quelli rimasti più impressi nell’immaginario collettivo degli appassionati:
- ARSENAL – JVC (1981-1989)
- MANCHESTER UNITED – SHARP (1988-2000)
- NEWCASTLE – NEWCASTLE BROWN ALE (1990-2000)
- LIVERPOOL – CARLSBERG (1993-2010)
- CHELSEA – AUTOGLASS (1997-2001)
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Il calcio spagnolo
Anche in Spagna, come in Inghilterra, la società più lungimirante non rientra tra le massime istituzioni del calcio locale odierno.
Non sono infatti stati club ai quali siamo più abituati come Real Madrid, Barcellona o Atletico Madrid ad innescare il processo di sponsorship ne LaLiga, ma il Racing Santander che nel 1981 appose sulle proprie divise il logo di Teka, marchio di elettrodomestici.
Da quel giorno ogni squadra del campionato iberico ha cercato di emulare i Verdiblancos.
L’approccio e la mentalità dei club spagnoli è molto cambiata negli anni, facendoci capire come le sponsorizzazioni non siano un vezzo, ma una reale necessità.
Ne è una dimostrazione lampante il Barcellona, riluttante fino al 2010 nel non voler piegarsi al denaro, invadendo l'iconica casacca blaugrana, ma che oggi è partner di Spotify. Il passaggio da Unicef al colosso musicale lascia poco spazio alle interpretazioni. I soldi delle sponsorizzazioni sono un’occasione utile per tutti.
I rivali del Real Madrid, sotto questo punto di vista, sono stati più lungimiranti, attivandosi 24 anni prima dei Cules con la società italiana Zanussi.
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Un aspetto interessante delle sponsorship in Spagna è che l’ecosistema è fortemente influenzato dalla territorialità.
Infatti, i numeri rivelano che le squadre con meno stabilità in termini di sponsorizzazione siano i club andalusi.
Il Siviglia FC e il Real Betis sono infatti le squadre che hanno indossato più marchi sulle loro maglie da quando hanno debuttato con l'Expo del 1992, con quindici e quattordici loghi diversi.
In Galizia, invece, l’effetto opposto. Essendo la regione il baluardo della stabilità nei rapporti commerciali.
L'RC Celta ha indossato il logo Citroen sulla sua maglia per trent'anni, dato che la casa automobilistica ha una fabbrica a Vigo.
Dal 2016 ha indossato il logo di Estrella Galicia, così come RC Deportivo dal 2009, dopo aver precedentemente indossato il logo di aziende come Fadesa, Dreamcast e poi Leyma.