In Italia abbiamo un problema con i social media e il calcio
Non siamo abituati a creare un ambiente sano, che sappia tutelare i giovani talenti che vengono alla ribalta. Risonanza spesso e volentieri più mediatica che calcistica, appunto.
Una brutta abitudine che ci asseriamo al DNA del tifoso e che troppo spesso nascondiamo dietro al cliché di essere “popolo appassionato e caloroso, come i sudamericani” quando si parla di calcio.
D'altronde, ci aveva visto lungo la AS Roma quando per gioco, per engagement e per filosofia aveva creato un video intitolato “Zaniolo che incontra gente” che vedeva protagonista Nicolò Zaniolo in uno dei suoi momenti più alti con i giallorossi, calcisticamente parlando.
Nel video, il dialogo con il tifoso incontrato per strada che rischia di farsi investire pur di fermare Zaniolo, è uno stereotipo, e come tale quindi, molto estremizzato sia ben chiaro, ma che contiene al suo interno i sentimenti e gli atteggiamenti tipici di un tifoso davanti al suo nuovo idolo.
Il numero 22 dei giallorossi è solo uno degli ultimi grandi protagonista inciampati nel circolo (e circo) mediatico all'italiana per cui grandi prestazioni in campo in Serie A corrispondono a grande esposizione. Il risultato è una lotta per accaparrarsi una dichiarazione del nuovo talento messo in vetrina, meglio ancora se attorniata dal velo della polemica e della “gaffe del ragazzino”. Maestri di questa arte comunicativa creata ad hoc spesso e volentieri sono trasmissioni di genere borderline, a metà tra l’inchiesta e l’intrattenimento, senza essere però responsabili verso l’Ordine dei giornalisti dei propri contenuti.
Non è un caso infatti che uno dei primi grandi equivoci nella breve storia social di Zaniolo sia stato creato a seguito di un servizio ad opera della trasmissione televisiva Le Iene. Vicenda titolata dagli editor della trasmissione col testuale “Zaniolo, il nuovo Totti della Roma e la mamma più cliccata dei social”. Generalizzazione più che superficiale (“Il nuovo Totti”) e quel clickbait ammiccante (“la mamma più cliccata”) sono elementi usati per fomentare l’interesse, quando invece dovrebbero annichilirlo. Imbarazzanti lo sono ancora di più le parole usate nella url per indicizzare il video, ma questa è un’altra storia.
All'epoca fu l’inviato de Le Iene a doversi scusare in seguito e a dover sospendere i social a causa delle minacce ricevute (al di là della qualità del servizio, le minacce di morte sui social sono ingiuste e da ripudiare e denunciare in qualsiasi caso).
Questa volta invece è toccato proprio a Zaniolo sospendere i propri account social (o così pare, dato che sono ancora attivi al 4 gennaio però), annunciandolo addirittura da un altro profilo Instagram, quello della madre.
Il problema qui è un altro, forse più rilevante e comunque più attinente al novero digital e social. Anzi i problemi sono due.
Il primo riguarda l’ignoranza nell’utilizzo delle piattaforme social da parte degli italiani in situazioni di alta polarizzazione (politica e sport su tutte).
Un analfabetismo rimasto non solo impunito, ma inclassificabile a causa dell’assenza di visione politica e legislativa sul tema. A proposito, in questo momento storico c’è chi crede di risolvere questi problemi esclusivamente attivando una “carta di identità digitale”.
Il secondo riguarda l’impossibilità da parte di Zaniolo di poter fare un uso delle piattaforme social in condizioni normali, provocando al calciatore un’evidente perdita di occasioni commerciali e quindi di monetizzazione. Zaniolo ne esce danneggiato, costretto a disattivare o comunque non utilizzare uno degli asset principali per un atleta oggi (sì, il talento sarebbe il primo, ma educhiamoci a prendere consapevolezza che non resterà l’unico asset).
Proprio a pochi mesi da un’importante collaborazione con la società DOOM di Fedez che con molta probabilità aveva riservato a Zaniolo molti progetti per il futuro, sicuramente non contemplando l’idea di una sospensione senza un termine dell’account che a questo punto sì, risulta un danno economico indiretto.
In giorni in cui dall'altra parte del mondo, negli Stati Uniti, veniamo a conoscenza della prima atleta di college americano a monetizzare con i social media, parlo di Chloe Mitchell, la giocatrice di pallavolo all'Aquinas College di Grand Rapids, in Michigan. Chissà se a Chloe venga chiesto di “Non pubblicare dopo una sconfitta”.
E la reazione italiana?
Parole che tentano di spegnere il fuoco ma che in realtà celano un cambio di prospettiva sul colpevole. Proprio qualche ora fa è stata riportata da diversi media italiani l’intervista di Carlo Ancelotti fatta da Radio Anch'Io Sport con un virgolettato “I social network sono un danno”.
Dichiarazione fatta dall’allenatore italiano più seguito sui social (prima che Pirlo sedesse su una panchina) che ha il sapore appunto di fallo tattico a centrocampo.
Ridurre tutto dando la colpa ad uno strumento che in realtà è usato da delle persone in teoria coscienziose. Il registro comunicativo con cui vengono riportate le parole di Ancelotti ci parla anche di un altro brutto vizio made in Italy: i virgolettati riportati ad hoc da parte di molti media, in maniera striminzita e decontestualizzata, sempre in onore di sua maestà clickbait, così, giusto per aizzare ancor di più gli utenti.
“I social network sono un danno”
La lezione social di Nicolò Zaniolo, così come quella di Federico Chiesa poco più di un paio di mesi fa, confermano una costante: in Italia i tifosi di calcio non sono pronti per i social media.
Il mondo della comunicazione nel calcio del futuro dovrà lavorare molto su questo.
Luigi Di Maso