Anima e dettagli: cosa ignoriamo del profilo di Roberto De Zerbi
Il profilo di un allenatore si può tracciare analizzando il gioco, la tattica, il modo di mettere in campo la squadra, guardando ed estrapolando appunti dalle partite, i movimenti e l’idea, l’impostazione.
Se, come nel nostro caso, si ha l’ambiziosa idea di tracciare un profilo da un punto di vista comunicativo, ciò che si deve andare ad intercettare sono interviste, conferenze stampe e gestualità, anche dal rettangolo verde.
E sotto questo punto di vista Roberto De Zerbi è senza dubbio uno degli uomini, e allenatori, del momento.
Da molti considerato un innovatore, e per qualcuno in Italia già un rimpianto, l'allenatore del Brighton è un personaggio che, senza ombra di dubbio alcuno, può essere classificato come divisivo.
Nel mondo di oggi questo non è necessariamente catalogato come un male, seguendo il detto mai passato di moda "bene o male, purché se ne parli".
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Per altri ancora, Roberto De Zerbi è un prodotto calcistico Made in Italy che oggi ci consente di sventolare orgogliosamente la bandiera tricolore nel paese dove il football è una questione culturale, o meglio viscerale.
Ambizione e coraggio
La reputazione conta, se sei un personaggio pubblico ed un allenatore di calcio.
Possiamo partire dall’attualità e da ciò che alcuni addetti ai lavori oltremanica pensano di Roberto De Zerbi: “Un manager che sta cambiando la Premier League” afferma Jon Mackenzie. E ancora: “Un allenatore che potrebbe spingere un po’ più in là l’evoluzione del gioco”, dice Jonathan Liew.
Merito solo della questione tecnica? No, secondo noi no.
Non esiste un allenatore che sia considerato capace senza che abbia un’ottima capacità comunicativa sia verso l'interno che verso l'esterno.
Un aspetto che si può esprimere in diversi modi e con stili opposti ma che ha un obiettivo comune: vincere.
Un gioco audace ottenuto attraverso una comunicazione audace.
“Sono un sognatore. Molto ambizioso, onesto ma instabile, impaziente e fieramente vulcanico. Se proprio devo affogare preferisco affogare nell’oceano e non nella vasca da bagno”.
Concetti chiari che fanno emergere una personalità forte, pura ed esplosiva allo stesso tempo.
A volte, come da sua stessa ammissione, instabile ma capace di costruire il gruppo, motivare e fortificare i suoi, coinvolgerli:
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“L’angoscia mi accompagna da sempre in questo mestiere. Al momento stiamo iniziando la stagione più importante, quella della conferma, e abbiamo perso tre giocatori determinanti: McAllister, Colwill e Caicedo.
Ho detto ai miei che i grandi club comprano chi vogliono, ma non ci possono comprare l’anima. Quella non è in vendita. Il mio Brighton è la squadra che meno mi assomiglia calcisticamente ma più mi assomiglia come anima”.
Questo è quanto ha detto in un'intervista durante l'ultima sessione di calciomercato in cui tanti giocatori di livello hanno lasciato il Brighton per squadre più ambizione e ricche.
Diverse cessioni di elementi importanti che non hanno portato il tecnico originario di Brescia a trovare scuse ma a trovare una chiave di volta che potesse motivare ancora di più chi era rimasto.
Nessuna filosofia, solo idee concrete
Parla di anima, sprona i propri giocatori creando senso di appartenenza, cercando azioni e reazioni, parlando in modo schietto, arrivando spesso nel profondo.
Qualcuno ha già parlato di "De zerbismo", ma in questi tratti ci troviamo del "cholismo" puro: un allenatore che spinge i giocatori a dare e dargli tutto credendo in un’idea improntata su principi umani.
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Attenzione, paragonandolo al Cholo Simeone non parliamo di espressione calcistica, ma comunicativa e caratteriale.
Il suo credo non è una filosofia ma un concetto concreto: “Credo in un calcio di principi, oltre i numeri, che pone le fondamenta sulla capacità dell’allenatore di trasmettere concetti e soluzioni”.
Comunicazione, confronto, leadership
Passione per il gioco del calcio, studio, approfondimento e continuo aggiornamento della materia. Leadership.
Il calcio di De Zerbi parte anche e soprattutto dalla scelta dei collaboratori:
"Lo staff lo scelgo io e l'ho scelto in maniera minuziosa perché volevo che si abbinassero le competenze allo spessore umano: gente pulita, leale e corretta come lo sono io.
Io credo che loro siano anche più bravi di me nelle loro competenze, nelle loro mansioni, forse sono più malato calcisticamente, io non conosco niente che mi possa togliere dal calcio, a meno che la mia famiglia non abbia problemi di salute.
Sono esigente, li massacro ed esigo sempre tanto da loro perché io sono quello che devo decidere alla fine.
Voglio che il mio staff ceni con me la sera, perché a cena c'è il tempo per confrontarsi, dal confronto può nascere un'idea nuova o uno spunto funzionale alla mia gestione. Io vivo full time, 24 h su 24 h la mia professione, non conosco ferie perché non c'è nessuno o nulla che mi possa togliere la mia ossessione".
Full time, De Zerbi pensa sempre e solo al calcio.
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Sceglie con particolare attenzione i propri collaboratori, si circonda di uomini prima che di professionisti competenti.
È esigente ed ossessivo ma allo stesso tempo ama comunicare, parlare, confrontarsi. Conosce il suo ruolo da leader ma riconosce l’importanza di chi gli sta affianco.
Roberto De Zerbi è un profilo divisivo
Il carattere esplosivo lo ha penalizzato nella carriera da calciatore.
Il Milan lo ha formato come ragazzo e come calciatore, ha vissuto un grande club ed ha espresso il suo talento in varie piazze.
Le aspettative eran tante, lo paragonavano a Savicevic, ma pur portando a termine un'onesta carriera, non è mai riuscito ad imporsi ad alti livelli come le sue qualità tecniche potevano far presagire.
Massimo Taibi - portiere del Milan all’epoca - ha detto sul De Zerbi calciatore rossonero: “Roberto era sicuramente un giocatore di grande qualità. È sempre stato uno sveglio rispetto alla media dei suoi coetanei. Era benvoluto da tutti, piaceva moltissimo a Boban e Savicevic.
Del resto, in campo parlavano la stessa lingua. Mai presuntuoso, sfrontato ma molto educato. Era un attaccante fenomenale che giocava anche da trequartista. Un sinistro veramente notevole”.
In questa dichiarazione crediamo che ci sia tutto il De Zerbi di oggi. Il passaggio “mai presuntuoso ma sfrontato” è un concetto da sottolineare.
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All’inizio abbiamo accennato a come De Zerbi in alcuni casi sia divisivo: tipico di chi nelle dichiarazioni non è mai banale, di chi parla in maniera diretta. A volte la personalità e l’ambizione possono essere confuse con egocentrismo e presunzione.
“Percepisco ancora oggi di essere stimato più all'estero che in Italia. Non credo di essere stato antipatico, credo che non sapere faccia paura. E, visto che io facevo qualcosa che quelli che dovevano giudicarmi non sanno, avevano timore. Tutta la stampa italiana mi descrive come un malato di calcio, un filosofo. Non hanno capito niente. Io sono appassionato di tattica, ma è un aspetto che non supera il 25%. Il resto riguarda la gestione”.
In fondo, conta quanto riesci ad incidere sulla squadra, sui tuoi calciatori a prescindere da ciò che pensa l’opinione pubblica.
“Da quando è arrivato De Zerbi, vedo il calcio in maniera totalmente diversa. Pensavo prima avesse senso, e invece quando imparo qualcosa ora penso: 'Perché sta cosa non la sapevo?'", parole di Lewis Dunk, capitano del Brighton che ha anche raggiunto la convocazione nella nazionale di Southgate.
Affermazione che ne traccia alla perfezione il profilo. Virgolettato che probabilmente vale più dei vari e giusti attestati di stima. Parole che prevalgono sui riconoscimenti espressi da colleghi come Pep Guardiola e Jurgen Klopp.
La passione alla base di tutto, l’ossessione per lo studio dei dettagli. La visione, un’idea di calcio concreta supportata da personalità, carattere, resilienza.
Una comunicazione schietta ed efficace.
Questo è, secondo noi, Roberto De Zerbi, patrimonio del calcio italiano e modello di leadership da seguire con attenzione.
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