Stefano Antonelli: “Gli sportivi e il social training, prendiamo esempio dall’America!”

Agente Fifa da oltre 20 anni, tra le tante operazioni ricordiamo quella del 1994 che portò il suo assistito Roberto Di Matteo dalla Lazio al Chelsea, direttore generale dell’Ascoli, amministratore delegato nel Torino di Cairo, Consulente dell’Udinese, Direttore Sportivo prima del Robur Siena e poi del Bari.

Oltre alla sua notevole esperienza, di Stefano Antonelli ci ha colpito la semplicità e la disponibilità avuta durante tutta la nostra conversazione nella sede della sua “creatura”, Football Service, la sintesi di tutto il suo trascorso professionale.

Social Media Soccer si occupa di analisi social e di social media marketing nel calcio. Che ruolo stanno assumendo secondo lei i social nel calcio?
Questo è un argomento quotidiano per me. Vivo questo mondo da 24 anni ed ho sempre vissuto la comunicazione face to face. Oggi mi trovo a fronteggiare la nuova generazione che ha un modo diverso di comunicare. Funzioniamo a like, a tag, più sei taggato più sei bravo, più hai like e più hai argomenti da produrre. Questo sembra adattarsi perfettamente al mondo del calcio ed ai suoi personaggi pubblici che riscuotono anche un grande successo social. Questo scenario determina nuove attività di business che riguardano aziende, portali, giornali. Ecco, forse questi ultimi, la carta stampata, ci sta un po’ rimettendo con questo nuovo modo di fare comunicazione e informazione.

Qual è il suo social preferito?
Personalmente, se dovessi scegliere direi Instagram. Perché esalta le immagini che possono comunicare tanto e non blinda il pensiero in un numero di caratteri stringato. Alcune volte la sintesi del tweet serve, altre è bello raccontarsi. E instagram, anche attraverso le storie, ti consente di fare questo con creatività.  

Lei è stato sia agente Fifa sia direttore sportivo: la percezione di questo strumento di comunicazione cambia in base al ruolo ricoperto?
Nel ruolo di direttore sportivo hai un ufficio stampa ed un reparto comunicazione che ogni giorno confeziona la rassegna stampa con tutte le notizie che riguardano la squadra. Ci si sofferma e si vanno ad analizzare le critiche e le opinioni sul proprio lavoro. Sei “meraviglioso” se vinci, sei “scarso” se perdi. I social hanno spesso un effetto tsunami. Va da sé però che l’unico vero giudizio sull’operato di un direttore sportivo viene dal campo e dai risultati sportivi. Da agente è diverso. L’agente deve fare tante operazioni di mercato, portare a casa più fatturato possibile. Prima lo si faceva senza social. Oggi i social sono parte integrante della comunicazione ed anche dello stile di vita. Tanti ragazzi emergenti ed esordienti in Serie A hanno una dimensione social e di conseguenza io mi sono adattato a questo tipo di comunicazione. Devo dire che nel tempo ne ho pesato gli aspetti positivi e utili e cerco di avere il mio modo di comunicare social senza eccessi

Le è mai capitato di aver dovuto affrontare, in maniera personale o per qualche suo assistito, una criticità sui social?
I social vengono talvolta usati a sproposito o peggio ancora per far male da parte di personaggi più o meno sconosciuti, che in maniera mirata tendono a danneggiare un’azienda o a criticare un professionista. Insomma, passatemi il termine, qualche volta le critiche possono avere un mandante! Come difendersi? arrivare direttamente alla fonte e provare a risolvere; oppure attraverso le vie legali quando le critiche sono personali e non professionali ed in particolare quando si configura un danno di immagine.

Per quanto riguarda i suoi assistiti, c’è qualche regola che devono rispettare nell’utilizzo dei social? In America, agli atleti emergenti fanno fare il “social training”. Che opinione ha al riguardo?
In America ci sono delle regole ben precise che qui non abbiamo e dovremmo mutuare lo schema di gestione social dal sistema americano. Troppo spesso i social vengono usati in maniera poco corretta o semplicemente sono mal gestiti da amici o da familiari dei calciatori. Personalmente sono contrario anche ad una sovraesposizione sui social di vicende particolarmente personali e intime che a mio avviso danneggiano l’immagine del calciatore. Sono dell’idea che un professionista debba indicare la strada maestra ai personaggi pubblici e nel mio caso ai calciatori, e quindi evitare di esporsi troppo e cercare di confrontarsi con un professionista prima di fare il famoso clic.

Che ruolo hanno i social network nel calciomercato?
Il calciomercato è social. Si può pensare di bruciare un’operazione e qualcuno può scegliere la strategia di dare un nome in pasto ai social. Ma si può anche decidere di lasciare solo piccoli indizi su viaggi e missioni attraverso i social: e quello è diverso. Ci sono vari portali che si occupano di calciomercato e che vanno ad intercettare informazioni più o meno reali degli addetti ai lavori. Ritengo che il vero professionista punta a mantenere il massimo riserbo sulle strategie e sulle operazioni che si vogliono conseguire. Diverso è utilizzare i social quando magari l’operazione è conclusa e si può pubblicizzare attraverso un’immagine, un commento, un in bocca al lupo al tuo assistito.

Come vede il triangolo sponsor-calcio-social?
Lo sponsor valuta l’investimento verso quel club o calciatore anche in funzione dell’interesse che c’è intorno. Oltre alle prestazioni in campo, ci sono i like, il numero delle visualizzazioni, le condivisioni.

Ci sono differenze tra l’Italia e l’estero?
In alcuni paesi, anche in relazione ad altri sport, questa consapevolezza ha determinato nuove forme di business. In Italia se ne sono accorti ancora in pochi. Il social non è ancora utilizzato per scopi virtuosi, è più un pettegolezzo.

Ha affiancato Francesco Totti dopo aver terminato la sua eccezionale carriera verso il suo nuovo ruolo dirigenziale. Come procede? Gli ha dato qualche consiglio anche rispetto all’utilizzo dei social?
Ho avuto il privilegio di stare vicino a Francesco nel suo momento più difficile, quando ha lasciato il calcio. Avrò per sempre l’orgoglio di aver vissuto l’ultima parte della sua carriera, che è stata la più difficile. Quello che ho sempre detto a Francesco è che non importava che tipo di ruolo ricoprisse nella società perché lui è Francesco Totti.

Massimo Tucci

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