Marcel Vulpis: “Il mio consiglio ai club: è ora di profilare la vostra fan base”
Marcel Vulpis, direttore di SportEconomy, quotidiano online da anni all’apice dell’informazione applicata all’economia e politica dello sport, affronta con Social Media Soccer il tema dei social media sempre più decisivi nella definizione di strategie di marketing e comunicazione integrate e multicanale per le società di calcio. “Monetization” e “Activation” sono le parole chiave utilizzate da Vulpis per esporci il suo pensiero. Vediamo di cosa si tratta.
Sono 25 milioni ogni giorno gli italiani che accedono a Facebook e in proporzione in Italia c'è uno dei più alti tassi di penetrazione rispetto alla popolazione online. Dietro alle strategie social delle squadre di calcio, oltre a far crescere il senso di appartenenza dei tifosi, c’è quindi molto di più: ci sono nuove possibilità di business. E’ possibile dare un valore all’attività social?
Stiamo parlando della sfida del futuro, tecnicamente si chiama “monetization”, ovvero trasformare i numeri di followers in una opportunità di business. Fino ad oggi i club italiani sono cresciuti, anche se non alla stessa velocità di quelli stranieri, i classici top club inglesi, francesi, tedeschi e spagnoli. Le società italiane arrivano alla digitalizzazione delle loro fan base con degli anni di ritardo rispetto ad altri esempi calcistici, e stanno cercando di recuperare dal punto di vista numerico. Manchester United e Real Madrid crescono a velocità doppia, per cui le nostre società hanno bisogno di recuperare non solo gli anni persi in cui non hanno investito nelle strategie digitali, ma devono correre anche loro a velocità doppia, se non tripla. Questa è la prima sfida. La seconda sfida è sicuramente interagire e rispondere in tempo reale, o quasi, alle esigenze digital dei tifosi: cosa che a volte viene fatta, altre no: le pagine Twitter e Facebook, nei momenti non positivi per le squadre, diventano in pratica degli sfogatoi trasformandosi, per assurdo, in una criticità più che in una opportunità. C’è da fare poi una riflessione: oggi molti club stanno cominciando a capire che gestire questi profili implica investire del tempo, investire in risorse, in consulenze e pagarle. Diventa, inoltre, una tematica in più da gestire sotto il profilo della comunicazione: se prima il rapporto era diretto verso i giornalisti che dovevano mediare tra i club e il tifoso attraverso gli articoli di giornale, l’intervista, la telecronaca, la radiocronaca, oggi invece le società possono disintermediare i media diventando loro stesso media attraverso i social network. Questi nuovi strumenti consentono loro di andare direttamente nella one to one con i tifosi, con i fan, con i supporter. Per i club significa che alla fine dell’anno c’è un investimento, ma c’è anche una voce in bilancio che genera dei costi. La terza fase è quella di pareggiare l’investimento in digitalizzazione, sia da un punto di vista tecnologico che da un punto di vista di utilizzo di risorse umane dedicate a quest’area; ma soprattutto arrivare ad ammortizzare e creare un guadagno per il club. Su questo credo che ancora non siamo pronti, perché le società italiane non hanno ancora trovato una strada chiara per arrivarci. Dovranno studiare molto, soprattutto per ciò che concerne quanto sta avvenendo in Spagna e in Inghilterra, dove i top club già usano la fan base social per creare dei database profilati.
A cosa servono i database profilati?
Non basta che una società abbia 20 milioni di fan su Facebook: deve conoscere chi sono, quali sono i loro pensieri, i loro bisogni, i loro sogni. Spesso questo il club italiano non lo sa. Come già avviene nelle sponsorizzazioni, sta diventando molto importante quella che si chiama tecnicamente “activation”, ovvero tutte quelle attività che sono utili o funzionali per far interagire l’utente e al tempo stesso trasformarlo in un utente profilato. Non basta sapere che è un maschio di 33 anni. Potrebbe essere utile sapere, ad esempio, che sta per sposarsi e che dunque avrà necessità di comprare un viaggio, di prendere in affitto o comprare un appartamento, che dovrà acquistare una auto, una city car o un suv. Sono informazioni che le società possono rivendere ai loro potenziali sponsor, con attività di co-marketing aventi come finalità ultima quella di creare business all'azienda sponsor che, a fine anno, valuterà da un lato l’exposure televisiva, di stampa e radio, generato dal club, e dall’altro anche il business che gli ha procurato attraverso il suo database “caldo”.
Non tutti quindi hanno compreso che una efficace comunicazione digital può servire ad intercettare nuovi sponsor, aiutare nella crescita degli abbonamenti e nella vendita dei prodotti di merchandising?
Al momento l’impressione è che molti siano entrati sui new media più per dire “io ci sono” piuttosto che per spiegare “io cosa faccio”. I club più evoluti in Italia come Juve, Milan, Roma e Inter sono sicuramente più avanti rispetto alla media ma, secondo me, non stanno ancora portando a casa i risultati che potenzialmente potrebbero portare, vale a dire – come ho spiegato prima - conoscere bisogni ed esigenze degli utenti che settimanalmente vanno a popolare le loro fan base, i cui numeri sì crescono, ma senza profilazione rimangono contenitori vuoti.
Un brand che vuole veicolare un messaggio attraverso un account social di un calciatore o di una squadra, quali parametri dovrebbe utilizzare per stabilirne il valore?
Da due anni insegno presso l’unica cattedra in Italia sul tema “Crossmedialità nell’industria dello sport”, alla Facoltà di Economia dell’università di Tor Vergata di Roma. Sa cosa chiedo sempre ai miei studenti? Qual è la società che oggi conosce tutto di noi: i nostri gusti personali, le nostre preferenze, la nostra fede religiosa, politica, calcistica, i nostri bisogni. E’ Facebook! La piattaforma di Zuckerberg è il più grande progetto che sia mai stato studiato. L’idea geniale è stata far parlare di sé gli utenti senza pagarli. Ciascuno di noi iscritto a Facebook sta dando delle informazioni sensibili al signor Zuckerberg. Il club di calcio invece dovranno pagare per avere queste informazioni sensibili.
Siamo di fronte a un cambiamento epocale con le squadre di calcio che diventano editori ma anche i calciatori stanno diventando sempre di più dei produttori di contenuti. Quali sono i rischi corrono i giocatori che si improvvisano “editori” e quanto, invece, potrebbe essere loro utile una sorta di “educazione digitale”?
Sicuramente oggi un calciatore che inizia ad approcciarsi con queste piattaforme, per arrivare a diventare una icona social, deve pensare di avere uno staff digital che lo segua dalla A alla Z. Per non incorrere in problemi con i propri follower dovrebbero poi entrare in gioco i grandi player: Twitter e Facebook devono cominciare a mettere delle regole e dei paletti ben chiari. Da tempo stanno iniziando a cancellare, ad esempio, i profili fake, cosa che spetta appunto a chi detiene la property di quel social media. Che in futuro poi ci possa essere, nel caso italiano da parte del MIUR (Ministero dell’istruzione e ricerca, ndr), un’alfabetizzazione digitale, è senz'altro auspicabile, ma non so quando possa avvenire e con quali modalità.
Riuscire a strutturare sessioni formative già a partire dalla squadre giovanili potrebbe essere già un successo?
È una buona idea, perché una cattiva gestione del proprio profilo social può generare anche delle problematiche estreme, come la perdita un contratto. Può essere il caso di un giocatore che ingenuamente pubblica qualcosa che ha a che fare con offese di tipo razziste. Se avesse uno staff che lo educa su cosa mettere e gli suggerisce di non pubblicare tutto quello che pensa, abbasserebbe il livello di rischio e di criticità. E’ un’opportunità questa che può cogliere autonomamente il calciatore oppure il social media manager della società, così come avviene ad esempio con la lotta al fenomeno del match-fixing per cui vengono organizzati incontri periodici.
L’Italia è evidentemente più indietro da questo punto di vista rispetto ai principali campionati europei. Quali sono secondo lei le società della nostra Serie A più avanti nel processo di professionalizzazione dell’area marketing?
Juventus, Roma, Milan, Inter, Napoli, Lazio e Fiorentina. La Lazio in particolare ha probabilmente meno numeri delle altre, ma a volte fa delle belle iniziative di engagement, come ad esempio l’operazione sugli 11 abbonati con cui ha trasformato una criticità in opportunità. A Formello non sono strutturati numericamente come la Roma, ma mettono in campo iniziative di digital marketing assolutamente creative.
Oggi siamo connessi alle squadre a un ritmo velocissimo. Come il brand reagisce e interagisce è la chiave del successo?
Penso che sia più un tema legato all’engagement, come sono capace io club di creare emozione con i fan. Bisogna studiare delle strategie che non siano di plastica, ma che vadano a segno perché colpiscono il cuore del tifoso. Il tifoso oggi non è uno stupido: sa stare sui social, ha dei blog personali, è bravo nella gestione del suo profilo pur non essendo un publisher o un influencer. Per cui non lo incanti con delle iniziative standard, magari copiate qua e là.
Indichi tre talloni di Achille del calcio italiano in termini di business e marketing, in altre parole, cosa andrebbe migliorato?
Si investe poco sulle risorse, le si paga male e c’è poca creatività. In Italia spesso si copia dall’estero e si copia male, non attualizzando o personalizzando le strategie a quella che è la cultura italiana.
Tre motivi, invece, per cui i grandi sponsor dovrebbe investire nelle nostre squadre di calcio?
Al netto di quello che sta succedendo, il calcio rimane comunque il nostro sport nazionale per eccellenza; è la modalità più semplice per entrare in contatto con un vasto pubblico fortemente fidelizzato.
La domanda che purtroppo non può mancare: l’Italia è fuori dal mondiale. Secondo le stime dell’UPA (Utenti pubblicità associati) la mancata qualificazione vale tra l’1 e il 2% degli investimenti in advertising del 2018, ovvero almeno 70 milioni che possono salire fino a 100-110. In questi giorni Facebook sta interpellando i professionisti del social advertising per conoscere quale sarà la loro propensione ad utilizzarlo come piattaforma pubblicitaria per campagne relative al calcio. C’è il rischio che questa nube nera possa pesare anche sulle squadre di club italiane?
Dal punto di vista del valore dei calciatori assolutamente sì. Secondo me ci sarà una svalutazione almeno del 10-15% del valore di molti giocatori. Il rischio c’è.
Giulia Spiniello