La Fondazione dell'Athletic per Bilbao, intervista a Galder Reguera
L’Athletic Club Bilbao è sicuramente una delle realtà calcistiche nelle quali l’identificazione tra squadra e territorio che rappresenta è maggiormente evidente e sentita.
Questa identità e senso di appartenenza vengono alimentate dalla sua Fondazione, organizzazione del Club che opera a tempo pieno nel sostegno a progetti e attività legate alla regione dei Paesi Baschi. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Galder Reguera, responsabile del progetto della Fundazioa Athletic Club, che ci ha spiegato come funziona il “braccio” socialmente responsabile del club basco.
Galder, quando e perché nacque la Fondazione dell’Athletic Club di Bilbao?
"La Fondazione nacque nel 2002 con lo scopo di lavorare con la comunità basca. Era quella l’intenzione primaria dell’ente: lavorare con la comunità e per la comunità. Un tipo di impegno nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa che il Club portava già avanti prima della nascita della Fondazione. La decisione di crearla venne presa al fine di avere un reparto dell’Athletic completamente dedicato a quella finalità".
A quei tempi la responsabilità sociale non era un valore ampiamente diffuso tra le aziende europee, a maggior ragione nelle società di calcio. Chi ne fu l’ideatore?
"Fu il primo presidente, Javier Uria, a partorire l’idea. Purtroppo si ammalò di cancro e morì nel primo anno di vita della Fondazione, cosa che ne rallentò molto l’attività iniziale".
In cosa consistono le vostre attività?
"Ne abbiamo diverse, che seguono le direttrici lungo le quali decidiamo di realizzare i nostri progetti. La prima è quella che si sviluppa in ambito sociale: noi consideriamo il calcio uno strumento importante per migliorare la vita della gente che vive situazioni difficili: persone con disabilità, donne vittime di violenza di genere, immigrati con problemi economici, persone con malattie mentali. Molte delle nostre iniziative sono legate alle attività che portano avanti le centinaia di associazioni che lavorano in questi ambiti. Noi cerchiamo di usare il “potere” del calcio e dell’Athletic Bilbao per amplificare e sostenere le azioni che svolgono queste organizzazioni. Noi non abbiamo le competenze adatte per poter agire da soli, pertanto decidiamo di supportare con le nostre risorse, economiche o umane, chi sa fare meglio di noi un certo tipo di lavoro. L’altra direttrice sulla quale ci muoviamo è quella dei progetti culturali. Ogni anno organizziamo a Bilbao un festival di cinema e calcio che dura una settimana che ha lo scopo di descrivere non tanto il calcio come gioco quanto come strumento di descrizione della realtà, capace di raccontare storie di uomini e della società in cui vivono".
"Probabilmente siamo l’unico club al mondo che ogni anno organizza questo tipo di evento. Programmiamo anche un festival della letteratura: anche qui il calcio è visto come un mezzo narrativo che non racconta se stesso ma altre storie. Nel tempo, è diventato un punto di riferimento tra cultura e sport. Promuoviamo inoltre l’Athletic Reading Club, iniziativa con la quale tifosi o semplici lettori propongono ai nostri calciatori dei libri da leggere. Alcuni brani dei libri selezionati tra quelli proposti dal pubblico vengono letti dai nostri calciatori nei gruppi di lettura ai quali partecipano alcuni dei nostri tifosi. Sosteniamo poi dei progetti mirati alla salvaguarda dell’ambiente, come quelli che compensano le emissioni di CO2. Cerchiamo di avere un impatto anche sulla protezione dei ragazzi che fanno sport: non soltanto quelli della scuola calcio dell’Athletic ma anche coloro che stanno nelle altre scuole calcio presenti sul nostro territorio. Infine, l’ultima direttrice sulla quale orientiamo i nostri sforzi è quella della promozione e protezione della lingua e della cultura basca. In questo ambito sviluppiamo il Bertso Derbia, una sfida tra poeti che improvvisano poesie in basco".
I valori che promuovete sono universali o specificamente baschi?
"Sono tutti valori universali solo che vengono applicati alle persone che vivono nei Paesi Baschi. La cosa bella dei nostri giocatori è che loro non si sentono diversi dalla gente del posto nel quale vivono: si sentono parte di questo popolo e sanno di esserlo. Per questo motivo è molto facile per noi parlare con loro e coinvolgerli nei progetti sociali e culturali che sviluppiamo. L’anno scorso, ad esempio, sei giocatori della prima squadra hanno preso parte al nostro festival del cinema. Questo è il nostro grande valore, essere tutti parte dello stesso progetto: giocatori, tifosi e Fondazione".
Cercate di creare delle sinergie anche con altre squadre di calcio spagnole o di altri Paesi?
"Abbiamo un buon rapporto con la Real Sociedad: con la loro fondazione abbiamo fatto la mostra su Ernesto Valverde, è stata una coproduzione. E quando organizziamo il Bertso Derbia lavoriamo insieme a loro. E’ molto bello vedere che, in qualche modo, loro ci hanno copiato. Ad esempio loro organizzano Corner, una settimana dedicata alla cultura e al calcio. Ma questo è un bene: significa che siamo stati dei pionieri e siamo un riferimento per gli altri club. Abbiamo ottimi rapporti anche con la fondazione del Betis Siviglia, con l’European Football for Development Network e altre fondazioni in Europa. Talvolta, però, non è semplice trovare il modo di collaborare perché ogni organizzazione lavora con la sua specifica comunità".
I calciatori della prima squadra sono coinvolti nelle vostre attività?
"Si, assolutamente. In parte ti ho già risposto ma mi fa piacere aggiungere che alcuni di loro scelgono di fare una parte delle loro vacanze mettendosi a nostra disposizione per lavorare per la comunità. Credo che sia una cosa unica al mondo. Abbiamo pubblicato un libro su questo: la storia di uno dei capitani dell’Athletic, Oscar De Marcos, che racconta che nella sua prima stagione era triste perché era stato mandato a giocare con la squadra B e così, a fine anno, chiese di andare a lavorare in Africa con una ONG per vedere cos’è il mondo reale, per relativizzare la sua esperienza. Questo è incredibile: ogni volta che chiediamo la disponibilità di un volontario per le nostre attività, ne troviamo sempre due. E’ un ottimo segnale".
Con quali risorse finanziarie si sostiene la Fondazione?
"I nostri finanziamenti provengono essenzialmente da tre fonti. La principale è quella costituita dai fondi che ci eroga il Club, che possono arrivare anche al 50% del nostro budget. Poi ci sono le aziende, molte delle quali medio-piccole, che fanno parte del tessuto imprenditoriale del nostro territorio. Qui in ufficio lavorano ogni giorno due persone che cercano imprese disponibili a sovvenzionare le attività della Fondazione. Infine le persone fisiche che, con una quota di 50 Euro all’anno, possono diventare sostenitrici della Fondazione. Ad oggi ne contiamo circa 4.000".
Avete adottato delle iniziative particolari nel periodo della pandemia? State facendo qualcosa relativamente alla guerra in Ucraina?
"La risposta è sì a entrambe le domande. Quanto alla pandemia, è stata un’esperienza davvero difficile. In quel periodo per noi non era importante aiutare persone indistintamente: noi volevamo essere vicini a quelle con cui lavoravamo abitualmente. Il nostro impegno, quindi, è stato quello di raccogliere tutti i loro nomi e cognomi e stargli vicino attraverso il telefono e le video chiamate. Quanto alla guerra in Ucraina, abbiamo inserito i profughi di quel Paese nell’ambito delle attività che svolgiamo per i rifugiati, dal momento che avevamo già lavorato a favore di quelli che provengono dall’Africa".
L’IMPATTO SOCIALE DELL’ATHLETIC CLUB
"Per noi non è importante la nazionalità quanto piuttosto dare a queste persone che soffrono degli attimi di relax, di svago, di evasione. Questo lo facciamo regalando loro momenti di intrattenimento: inviti allo stadio per vedere le partite dell’Athletic, lezioni di musica e d’arte, partecipazione gratuita ai campi estivi. Per la settimana santa abbiamo ospitato una cinquantina di ragazzi ucraini: è un’esperienza che riproporremo quest’estate per un numero doppio di giovani. Inoltre, in collaborazione con l’European Club Association, ospitiamo giovani calciatori: al momento abbiamo quattro ragazzi, under 16 e under 17 provenienti dalla squadra del Dnipro, che si allenano con le nostre rispettive rappresentative anche se non giocano per l’Athletic".
Quali sono i vostri principali progetti per il 2022?
"Il 2022 è importante perché ricorre il nostro ventesimo anniversario e vogliamo dimostrare che siamo una grande Fondazione con un grande progetto. La prima parte di quest’anno, in una grande festa davanti a 50.000 persone, al San Mamés abbiamo tratto un bilancio di ciò che è stato realizzato: abbiamo fatto vedere da dove siamo partiti, dove siamo adesso e cosa faremo nei prossimi vent’anni. Poi nella settimana tra il 19 e il 25 settembre, approfittando della pausa per le nazionali, torneremo col nostro Festival per parlare di come il calcio possa costruire una società migliore. E’ bellissimo, è uno strumento incredibile per arricchire il mondo: cerchiamo di capire perché".
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