[ESCLUSIVA] Umberto Calcagno: "Mondiale per Club? Ho dubbi sui vantaggi economici"

Il presidente dell'Associazione Italiana Calciatori ha approfondito, ai nostri microfoni, i temi proposti dalla ricerca "Injury Time" e ci ha parlato delle prospettive della football industry

Lo scorso 20 novembre, l’AIC ha presentato a SFS24 la ricerca denominata “Injury Time” uno studio focalizzato sugli infortuni in Serie A, Premier League e LaLiga nel corso delle stagioni 2022-2023 e 2023-2024.

Abbiamo voluto provare ad approfondire la questione insieme a Umberto Calcagno, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori.

Ciao Umberto, grazie per la disponibilità.

La vostra ricerca ha evidenziato una volta di più il problema degli infortuni dei calciatori, che ha generato, nelle leghe citate in precedenza, una perdita totale complessiva pari a 1475 milioni di euro nella sola stagione 2023-2024.

Tuttavia il tema resta purtroppo di strettissima attualità, sia in Italia che all’estero, basti pensare alle situazioni di emergenza in cui versano attualmente Juventus e Manchester City, solo per citarne alcune.

Esiste un tavolo di lavoro internazionale tra le associazioni che rappresentano i giocatori?

“Si, siamo sempre in contatto con la Lega Serie A.  Abbiamo portato in causa alla Fifa la questione legata ai calendari. Per l’organizzazione del Mondiale per Club non è stato sentito nessuno. Insieme ai sindacati europei stiamo lavorando per riequilibrare la spinta che c’è nei confronti delle competizioni internazionali, è una tendenza che porta a depauperare i campionati nazionali”.

 

In questi anni si è parlato tanto di nuovi format e nuovi tornei. Tiene banco da tempo la questione Superlega. Avete mai avuto un colloquio con l’organizzazione? 

“No, non abbiamo mai parlato con loro”.

 

Con le istituzioni del calcio, come Uefa e Fifa, avete un dialogo aperto?

“Con l’Uefa c’è un confronto continuo, che va avanti ormai da qualche anno. La Fifa invece sta dando risposte di facciata. Come dicevo prima, il nuovo Mondiale per Club è stato realizzato senza consultare la FiFPro. Si è parlato dei vantaggi economici, ma io nutro dei dubbi su questo aspetto. Non so quanto possa essere conveniente disputare una stagione che non finisce mai. I club che giocheranno fino a luglio inoltrato per poter sostenere un tale sforzo dovrebbero disporre di rose da 45 giocatori, per limitare l’impatto a livello di infortuni. A quel punto però non ci sarebbe più sostenibilità”.

 

Per limitare il problema legato ai guai fisici degli atleti e migliorare al contempo tutto il sistema calcistico è necessario un cambio radicale rispetto all’attuale modello di business?

“Innanzitutto bisognerebbe iniziare a parlare di solidarietà. Nessuno si è preoccupato di ridistribuire le risorse economiche che vengono generate anche ai club che non disputano le coppe europee. E’ una discussione alla quale tutti devono partecipare. Il lavoro dev’essere improntato al mantenimento delle competitività dei campionati nazionali. Basti pensare al fatto che chi non gioca in Europa guadagna cifre nettamente inferiori rispetto a quelle dei top club, a livello di diritti televisivi. Se continuiamo a focalizzare l’attenzione solo sugli impegni internazionali, i diritti audiovisivi domestici varranno la metà e non ci sarà più un mercato. Si tratta di una situazione che si sta già verificando in Francia, Inghilterra e Spagna”.

 

Credi che la Coppa del Mondo 2026 (che sarà a 48 squadre) possa portare ad aggravare il problema degli infortuni?

 “E’ molto probabile, a mio avviso stanno scherzando con il fuoco e non se ne rendono conto. Dobbiamo pensare anche a salvaguardare la spettacolarità, altrimenti il prodotto perde valore. Ci sono sempre più impegni si arriva alle gare decisive, quando si assegnano i titoli a fine stagione, più stanchi. Questo comporta ritmi più bassi e dunque un appeal minore”.

 

Ci può essere un impatto sulla salute mentale dei calciatori a causa di tutte queste partite?

 “Non riuscire a staccare la spina è un problema di sicuro impatto per i grandi giocatori. Oggi in Italia si sta lavorando tanto per prendersi cura di questo aspetto, le squadre ne hanno compreso l’importanza. Ci sono molti meno ritiri e gli atleti spesso sono liberi, in prossimità delle gare, ritrovandosi poi insieme il giorno del match. Noi ci siamo arrivati per ultimi ma stiamo colmando il gap, che esisteva nei confronti delle altre realtà. In Inghilterra infatti sono maestri nella gestione di questa situazione”.

 

Il fittissimo calendario attuale pensi possa condizionare negativamente anche il lavoro dei settori giovanili e delle seconde squadre?

“Non credo esista questo rischio, le seconde squadre consentono ai giovani di misurarsi con il calcio professionistico e crescere come giocatori. Questo li rende un vero e proprio valore aggiunto quando competono con i pari età, nelle nazionali under”.

 

 A che punto è il progetto delle seconde squadre in Italia? Qual è il tuo giudizio in merito?

“Continueranno ad aumentare, ma è giusto che il processo sia graduale, anche per salvaguardare la nostra Lega Pro. Uno degli effetti positivi è che oggi, grazie a questo progetto, si è ricostituito un mercato che può aprire le porte della Serie A, a tanti giocatori che disputano la terza divisione nazionale. Per anni la possibilità che questo avvenisse è stata pressoché nulla”.

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