Adidas, Tommaso Calzolari: “Pogba esempio di perfetta gestione social”

Tommaso Calzolari, Senior Brand Marketing per Adidas Western Europe, a 360° gradi su social media, brand image, influencer e sponsor nel mondo del calcio in una intervista a Social Media Soccer, in cui parla anche della fine del rapporto con il Milan e della nuova partnership con la Juventus. Calzolari spiega i rischi che avrebbe potuto correre il calciatore della Roma, Radja Nainngolan dopo il Capodanno esagerato su Instagram e tesse le lodi del francese Paul Pogba, eletto a esempio di gestione dei profili social.

La vostra social media strategy: nell’universo delle vostre attività di comunicazione digitale, quanto l’attività social incide in termini di investimento ed in termini di effort?
Per capire l’importanza delle piattaforme social media, basta dire che hanno sostituito completamente quelle tradizionali, Tv, outdoor, radio ecc. Oggi devi prima essere certo di avere visibilità sui social media, Facebook, Twitter, Instagram in crescita, Snapchat -  e se ti resta budget puoi verificare se ci sono progetti interessanti sui canali tradizionali. La presenza sui social deve essere attiva e chiara e molte aziende hanno on board all’ufficio marketing le piattaforme di social media.

Quali sono gli aspetti positivi delle attività social?
Sono misurabili e permettono la segmentazione del target, lavorando bene con budget ridotti. La comunicazione oggi è accessibile a tutti e tutto questo rappresenta un vantaggio per l’intera industry, più agenzie, più persone che fanno comunicazione.

Gli aspetti negativi?
L’ammontare di dati a cui si è esposti generano molto spesso confusione, anche in realtà grandi, figuriamoci in quelle piccole. Uno dei problemi è che a volte una campagna di successo, con un engagement alto ed un’ottima reach, potrebbe comunque non portare ad un aumento delle vendite. Pertanto oggi è più complicato stabilire cosa vuol dire successo di una campagna di social media ed anche per questa ragione vanno ben definiti gli obiettivi e c’è bisogno di grandi professionisti che sappiano ben interpretare i dati. Come fare a dimostrare di essere un grande professionista? Questa è la sfida.

Uno degli aspetti della comunicazione tramite social è l’esposizione alle critiche. Come si relaziona Adidas rispetto a questo aspetto?
Chi comunica tanto è sempre soggetto a critiche, qualsiasi brand, anche i più autorevoli.

Le critiche impattano sulla brand image? Avete mai gestito casi di crisi di comunicazione social vedi caso Nainggolan?
Mah… Sono opinioni che ci sono sempre state, hanno certamente più visibilità ma restano lì. Non ci sono casi particolari che hanno dimostrato il contrario. Per impattare negativamente sul brand devono essere davvero opinioni virali che rispecchiano un fatto ben preciso ed eclatante, altrimenti no. Va semplicemente tenuto in considerazione che la comunicazione non è più “Top Down”. Oggi c’è una reazione da parte delle persone, quindi l’azienda ed i manager devono essere più attenti. In Adidas casi particolari di crisi sui social non ci sono stati. Certamente situazioni di particolare gravità possono determinare la rottura del contratto ed è fondamentale che l’azienda prenda le distanze. Quello è il vero danno, quando non si prende posizione immediatamente. Viceversa, l’azienda non è il genitore dell’atleta. Monchi in questo caso ha preso posizione e ci sono stati molti attestati a favore.

Come Adidas contestualizza e declina le attività di comunicazione global nei vari Paesi? C’è una contestualizzazione relativa, ad esempio, ai vari campionati di calcio?
In generale, quindi anche nel calcio, Adidas ha dei dipartimenti denominati “News Room”, dislocati in ogni Key City, in Italia a Milano. Il dipartimento Global fornisce delle linee guida che vanno tenute conto dalle News Room. Gli asset globali guidano l’awareness del brand, seppure a volte vengono visti lontani. Per questo motivo a supporto vanno fatte delle attività locali, con asset del territorio, giocatori o giornalisti locali, che magari hanno views e reach minori, ma hanno un forte engagement. Dividendo in percentuale parliamo all’incirca del 65% di attività Global e del 35% Local.

Coutinho al Barcellona è stato annunciato sabato 6 gennaio, ma Nike aveva già anticipato via web il trasferimento prima di Capodanno: errore o trovata di marketing voluta?
Credo sia stato un disguido e una mancanza di allineamento interno tra azienda e asset sportivo.

Il calcio è ancora uno strumento giusto per veicolare messaggi aziendali?
Il calcio è un veicolo giusto, non c’è dubbio. La mancata qualificazione ai mondiali ha quantificato un disastro economico notevole. Giornalisti, testate, aziende che non investono, sponsor, voli cancellati, Puma che ha annullato tantissime attività, posti di lavoro persi. Considerando tutto, si tratta di un impatto enorme, e se tutto questo è vero, certamente il calcio è ancora uno strumento utilissimo. Semmai non è il calcio come industry ad essere in discussione, quanto gli attori che lo gestiscono che devono essere più professionali. Federazioni e club devono ragionare da marketing, aprirsi di più e gestire le loro piattaforme come aziende.

Perché si è concluso il rapporto con il Milan e quali benefici avete raccolto dalla prima stagione con la Juventus?
Questa è una domanda prettamente di business: oggi siamo in un mercato molto competitivo. Gli investimenti di marketing per accaparrarsi i millennials e la generazione Z sono elevatissimi. Le squadre di calcio e gli atleti costano sempre di più ed ad un certo punto vanno fatte delle scelte. Si sceglie la costanza nelle vittorie - Real, Juve 2 volte in finale negli ultimi 3 anni -, l’internazionalità, lo stadio e le strutture di proprietà. Se è vero che il Milan è la squadra più titolata, è altrettanto vero che da anni non performa. 

Dybala con oltre 16 milioni di fan totali sul web è il primo giocatore nella classifica social di Serie A. Come valuta Adidas questa sua performance digital e quanto incide nella valutazione economica?
Innanzitutto è importante avere dei campioni. Poi certamente il loro valore aumenta se sono forti anche sui social. Non a caso molto spesso i calciatori hanno un social media manager a supporto. E’ altrettanto vero, però, che si può investire anche non necessariamente sui campioni che, pur apportando awareness al brand, a volte in alcune aree vengono visti lontani e a livello di engagement non hanno tanto valore. Per questo è utile affiancare ed investire in progetti su atleti che, oltre alle capacità sportive seppure inferiori rispetto ai campioni, hanno altri valori e sono proattivi. Ad esempio Tommy Marino, cestista italiano attuale playmaker a Treviglio, è anche coach di basket a bambini in zone degradate dell’Africa. E’ un perfetto connubio di ingaggiante storytelling, engagement e notorietà, tutto ovviamente in modo autentico. Oggi lo scouting di questi asset è un valore aggiunto.

Si può dare un valore economico agli account social degli influencer e, nello specifico a quelli delle squadre di calcio e dei suoi giocatori?
Per mia esperienza si può dare un valore economico ad un account. I grandi asset, squadre e giocatori, hanno un contratto lungo, 5/10 anni. Per altri spesso si fanno dei progetti che hanno una durata più circoscritta. Poi chiaramente dipende dagli obiettivi dei singoli brands. Certamente occorre avere capacità di valorizzare lo storytelling dell’atleta e del brand, che ha bisogno di veicolare notorietà su uno specifico pubblico con contenuti autentici. Per fare questo serve una persona proattiva, che ha cose da dire, che utilizza degli strumenti, telefono, macchina fotografica. Quindi un’agenzia deve avere capacità di analisi, di fare scouting sugli influencer e collaborare con loro per dargli quell’equipment - video maker, fotografo -necessari a generare contenuti.

Esiste un mercato degli influencer nel mondo del calcio in Italia secondo te?
Oggi siamo tutti influencer e nessuno. Prima erano i giornalisti. Con l’avvento dei social è uscita fuori questa parola. Esistono comunque in qualsiasi settore. La bravura è andare a trovarli. Devono avere un audience e devono essere bravi ad impattarli. Si è influencer in base a cosa? Quali sono gli obiettivi e la strategia dei social media? Magari la Spal non ha bisogno di una grande fan base, ma di qualcuno con meno follower ma con engagement altissimo. Ci sono tantissime opportunità, girano più soldi, si investe di più ma quello che è difficile è la gestione dei dati. Se guardi tutti i dati impazzisci. Servono dei partner che ti aiutano a rifocalizzare la strategia e gli obiettivi.

Quali sono le principali KPI (Key Performance Indicator) per Adidas?
Le vendite: investi per vendere innanzitutto. Poi c’è l’engagement ed il reach. La cosa difficile è individuare su chi andare a lavorare per ottenere i risultati. In questo contesto risulta strategico il lavoro del social media strategist col marketing director. Oggi più che mai vanno selezionati gli obiettivi in relazione ad un budget limitato rispetto alle opportunità che si hanno. La capacità di selezionare gli obiettivi è fondamentale.

Ci sono alcuni giocatori che hanno più fan delle squadre dove giocano: sono da considerare in competizione o complementari?
Hanno un valore aggiunto. Sicuramente c’è un occhio attento nella scelta dei giocatori che possono portare degli sponsor direttamente e indirettamente e presidiare determinati mercati, ad esempio per il merchandising.

Il mercato del sistema calcio italiano è adeguato per presidiare il rapporto influencer-sponsor?
Alcune squadre sono attive, facendo contenuti, press conference, Facebook live. In Inghilterra stanno molto più avanti, vedi Manchester City. Altre squadre in Italia lo sono meno. Un problema sono sicuramente le strutture non di proprietà: puoi fare partnership, store e gestire i contenuti. A livello di professionalità ci siamo, ma a livello di strutture meno. Spesso mancano dei piani di business a 360°. Mi viene in mente il Bayer Monaco che tra gli altri, aveva l’obiettivo di aprire negozi in varie parti del mondo.

Hai avuto modo di seguire account social di calciatori o squadre e, a tuo avviso, quali sono i migliori esempi?
Paul Pogba è il connubio tra performance, storytelling, lifestyle, entertainment. Potenzialmente anche Balotelli poteva avere grandi possibilità, ma poi non ha performato a quei livelli. Pogba è supportato proprio da Adidas con un manager dedicato a lui.

I giocatori sono personaggi pubblici. Ritieni sia importante avere una formazione nella gestione dei loro profili social? Ritieni che si debba affrontare il tema della gestione professionale degli account social?
Sì, assolutamente. In America l’NBA fa corsi di comunicazione agli atleti “draft”. È sicuramente un’iniziativa corretta.

Massimo Tucci

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