THE CLUB | Tra ideologia e marketing: l’evoluzione del modello St. Pauli
Il derby di Amburgo storicamente ed idealmente pone di fronte due mondi opposti: la tradizione borghese contro il sentimento operaio. Amburgo – St. Pauli mette a confronto, ancora oggi anche se con un taglio meno netto, due concetti differenti e non solo due semplici squadre.
L’Amburgo è calcisticamente la parte nobile della città: sei titoli di Germania, tre volte vincitore della DFB Pokal, una Coppa delle Coppe in bacheca e soprattutto la Coppa dei Campioni alzata nella stagione 1982/1983 contro la Juventus in finale.
Dall’altro lato troviamo il St. Pauli. La denominazione esatta è Fußball-Club St. Pauli von 1910 e.V, squadra dell’omonimo quartiere noto per essere la zona a luci rosse della città, nell'area portuale. Il club, nella sua storia, ha vissuto rari, rarissimi momenti di gloria ma, nel tempo, si è trasformato in un cult, in un modello di calcio differente, politicizzato ma aperto, orientato all'integrazione ed alla lotta alle discriminazioni. Il derby di Amburgo è creatività contro solidità, è multiculturalità contro tradizione, ed è un assist perfetto per introdurre i principi e la visione del St. Pauli.
Simbolo della lotta operaia
La storia ha inizio nel 1899, grazie allo spirito d’iniziativa di un gruppo di soci dell'Hamburg-St. Pauli Turn-Verein 1862. La prima partita della squadra risale al 1907 ma la data ufficiale della fondazione è il 15 Maggio 1910. L’ FC St. Pauli è una vera e propria comunità, rappresenta alla perfezione il quartiere, ergendosi a baluardo di un ideale molto più nobile ed ampio. Non solo calcio, la società è una polisportiva che ha nella disciplina calcistica l’attività più “conosciuta” e diffusa, ma che all'interno presenta sezioni di rugby, football americano, baseball, bowling, scacchi, ciclismo, pallamano, softball, roller derby e tennis tavolo.
Il St. Pauli non ha mai ottenuto in campo particolari successi, poche le presenze in Bundesliga. Il punto più alto fu una straordinaria cavalcata che portò la squadra, nella stagione sportiva 2005/2006, in Coppa di Germania, sino alla semifinale contro il Bayern Monaco (persa per 3-0) dopo aver battuto nell'ordine il Wacker Burghausen, il Bochum e, soprattutto, club blasonati come l’Herta Berlino ed il Werder Brema. Oltre questo, poco altro. Se vogliamo evidenziare il lato romantico, il St. Pauli con l’accesso a quella semifinale contro i bavaresi, incassò un milione di euro in diritti tv e sponsor che gli consentirono di allontanare importanti problemi finanziari.
La svolta avvenne nella metà degli anni Ottanta. Il club trasformò completamente la propria immagine, passando da squadra di quartiere a vero e proprio fenomeno culturale. La Società ristrutturò il Millerntor-Stadion, nella zona del porto, vicino a Reeperbahn, il quartiere a luci rosse centro della vita notturna della città. Erano anni complicati in Germania, con il ritorno di movimenti neo-fascisti che trovarono nel calcio un palcoscenico “perfetto”. Il St. Pauli fu la prima squadra in Germania a bandire l’ingresso nel proprio a stadio a supporter di estrema destra. Il club divenne simbolo della lotta non solo al fascismo, ma ad ogni forma di discriminazione. La media spettatori allo stadio crebbe da 1.600 a 20.000 alla fine degli anni Novanta. Una presa di posizione importante, che creò entusiasmo, senso di appartenenza. La squadra divenne un’icona nazionale, il club riferimento della comunità locale, di una continua lotta di classe.
Fenomeno cult: l’adozione del Jolly Roger
I fan del St. Pauli adottarono come simbolo non ufficiale il Jolly Roger, nome del famoso teschio dei pirati. La leggenda narra che il tutto nacque da una iniziativa estemporanea di un tifoso che portò da casa la bandiera con il teschio ad una partita casalinga. Da lì, molti lo imitarono e ben presto la curva si riempì di questi vessilli. Un fenomeno spontaneo che pochi anni dopo convinse, o meglio costrinse, il club a riconoscerlo come proprio simbolo.
La società ancora oggi si regge, così come accade altri club della Bundesliga, sull'azionariato popolare. Il tifoso non è un semplice fruitore, ma un vero e proprio socio: vive il club a 360°, è impegnato nel processo di sviluppo e valorizzazione della società.
I tifosi, da sempre, hanno mostrato un attaccamento viscerale ai colori della squadra a prescindere dal risultato del campo. Il St. Pauli è stato un modello rivoluzionario nel sistema calcistico professionistico e lo è ancora oggi. Rappresenta un ideale politico, senza mezzi termini, è impegnato costantemente nelle battaglie per l’integrazione culturale, a favore della comunità LGBT, per i diritti dei più poveri e delle persone in difficoltà. È parte della cultura musicale, della cultura letteraria, della libertà sessuale. È lo specchio sportivo che rappresenta i valori del distretto urbano dove risiede. Un ideale che si estende anche all'estero attraverso i gemellaggi dei propri tifosi con quelli del Bayern Monaco, della Sampdoria, della Ternana, dell’Atalanta, dell'Hapoel Tel Aviv e del Celtic Glasgow.
Ogni iniziativa lanciata dal club ha un messaggio ben preciso: il St. Pauli è sin dalla fondazione un eccezionale strumento di comunicazione, sensibilizzazione ed azione.
Da ideologia a brand
Parliamo dello sviluppo internazionale del brand. In una delle ultime campagne lanciate, Viva insieme al brand Aqua, la società ha organizzato una raccolta fondi per l’acquisto di distributori d’acqua in favore delle scuole di Cuba. Solidarietà, attivismo, ma anche sviluppo del marchio fuori dai confini tedeschi.
Un passaggio rivoluzionario nella storia del club, una strategia che ha ricevuto critiche dai gruppi “integralisti” di soci – tifosi, ma che è il naturale processo di sopravvivenza nel calcio moderno, obbligatorio anche per una realtà come quella del St. Pauli.
Da tempo la Società è entrata in una nuova fase, commerciale e globale. Il famoso e “ribelle” Jolly Roger si è trasformato nel marchio principale del merchandising, addirittura più del logo ufficiale della squadra.
Fonte: pagina ufficiale St. Pauli - Facebook
A questo punto, molti si sono chiesti: qual è il confine tra sociale ed imprenditoria? Quale il punto di rottura tra politica e marketing? Quale il margine tra la difesa di un ideale e la sopravvivenza/sviluppo del Club?
La risposta risiede nella capacità di adattamento al contesto evolutivo. Il compromesso tra valore storico e valore commerciale, è il risultato che consente al club di vivere e sopravvivere nella football industry. Oggi il St. Pauli è una società che attraverso il marketing autofinanzia non solo l’attività calcistica ma tutte le sezioni della polisportiva, con un focus diretto di investimenti nella valorizzazione del settore giovanile e dell’attività di base a tutela dei 111 anni di storia e valori. Dal 2016 gestisce in maniera completamente autonoma il merchandising per un giro di affari di circa 20 milioni di euro l’anno. Oltre 140 i punti vendita ufficiali del club in Germania, con le vendite verso l’estero in costante aumento, non solo in Europa. Il St. Pauli è un vero e proprio brand oltre il calcio, e negli ultimi anni si è trasformato in un marchio cult come pochi al mondo.
È vero, c’è poco di anti-capitalista nello shop online sul sito ufficiale: dalle maglie da gioco alla collezione casual, dalle capsule ad accessori vari, il club ha trasformato qualsiasi cosa in un prodotto da vendere con lo stemma o il teschio, in questo caso, della squadra.
Fonte: fanpage ufficiale St. Pauli
Qualcuno lo vede come un tradimento della storia e della tradizione, della missione con la quale è nato il St. Pauli FC. Il club, nel frattempo, rimanere coerente e continua a lanciare messaggi, a sviluppare iniziative sociali in difesa e supporto dei più deboli. Lo fa anche attraverso una importante presenza sui social con una fanbase che conta 1.024.514 followers suddivisi tra Facebook, Instagram, Twitter, Youtube e anche Twitch, ultima piattaforma sulla quale è sbarcato il club.
Do it, improve yourself
Responsabilità sociale, impegno politico, tolleranza e rispetto sono i principi solidi sul quale poggia la filosofia del St. Pauli, anche nella versione “moderna”. Rimane un simbolo di “autenticità sportiva”, così come riporta il club su una nota ufficiale.
Fonte: fanpage ufficiale St. Pauli
La vendita dei beni e servizi è guidata non solo da considerazioni commerciali ma anche da valori sociali. È necessario che: “gli sponsor ed i partner commerciali del St. Pauli e dei suoi prodotti devono rispettare le linee guida in termini di responsabilità sociale e politica del club”.
Un estratto del comunicato ufficiale che ci aiuta ad introdurre uno degli ultimi avvenimenti accaduti e che ha fatto notizia, proprio in chiave marketing. Da poco è stato comunicato ufficialmente che dalla prossima stagione il club si produrrà le maglia in maniera autonoma, interrompendo il rapporto con lo sponsor tecnico Under Armour che durava dal 2016.
Il motivo? Nessun fornitore è riuscito a soddisfare i parametri e le richieste di sostenibilità dei tessuti. Il Presidente, Oke Goke Göttlich, ha dichiarato: “Non solo, ma in particolare durante questa crisi causata dal COVID-19, ci sforziamo di affrontare le sfide con coraggio e spirito imprenditoriale insieme a tutti i soci e tifosi dell’FC St. Pauli. Nel lanciare la nostra nuova collezione dedicata a tutti gli sport di squadra, abbiamo deciso di intraprendere una strada indipendente e sostenibile nel rispetto dei nostri principi”.
Su tutte le maglie comparirà il logo DIIY – Do it, improve yourself, un claim che rappresenta al meglio il passato, il presente ma soprattutto il futuro del club.
L’ennesima dimostrazione che l’FC St. Pauli è ideologia, impegno politico, responsabilità sociale e da oggi, anche marketing.