Profili | Roberto Baggio: ritrovarsi campione
L’uscita su Netflix del docu-film “Il Divin Codino”, diretto dalla regista Letizia Lamartire, in programma il prossimo 26 maggio ci offre lo spunto per prendere “coraggio” e delineare il profilo di uno dei calciatori italiani più forti di sempre.
Per una generazione, di italiani ma anche stranieri, Roberto Baggio è stato un’icona, un calciatore straordinario ed un uomo non omologato al sistema in cui è diventato grande. Ha interpretato la sua professione in maniera pura, dedicandosi con professionalità al lavoro sul campo, non contaminandosi mai con i vari cliché che spesso si affibbiano ai calciatori: vita dissoluta, feste, macchine costose.
Quella che ci apprestiamo a raccontare è, innanzitutto, un testamento pieno di passione.
“L'atteggiamento di fondo della mia vita è stata la passione.Per realizzare i miei sogni ho agito sempre spinto solo da questa. La passione muove ogni cosa, è una forza davvero straordinaria”
Un sentimento descritto al meglio nella lunga lettera che lesse sul palco di Sanremo nel 2013. Un “appello” che iniziò così: “Per 20 anni ho fatto il calciatore. Questo certamente non mi rende un maestro di vita, ma ora mi piacerebbe occuparmi dei giovani così preziosi e insostituibili. So che i giovani non amano i consigli. Anche io ero così. Io però senza arroganza, stasera qualche consiglio lo vorrei dare”.
Il suo fu un inno alla gioia, al coraggio, al successo ma soprattutto al sacrificio. Baggio tutto quello che ha ottenuto lo ha conquistato in questo modo, attraverso questi valori. Ma si sa, non sempre si vince così.
Nello stesso periodo provò a tornare nel mondo del calcio, presentando ufficialmente un programma di 900 pagine per il rilancio della FIGC, all'epoca guidata da Giancarlo Abete, improntato sulla formazione tecnica, la valorizzazione dei vivai ed ancora sull'attenzione all'etica, ai comportamenti, al ruolo sociale ed educativo di questo sport. Una proposta che non venne mai messa in atto, che naufragò tristemente. Qualcuno disse perché troppo ambizioso, qualcun’ altro perché lo stesso Baggio era poco incline a piegarsi alle logiche di un ambiente che spesso vede con diffidenza il concetto di rivoluzione.
“Credo che nella vita le persone debbano dare tutto quello che hanno. Poi, non c’è scritto da nessuna parte che bisogna sempre fare risultato”
La carriera sportiva è quella di un campione: trofei, giocate, il Pallone d’oro. Baggio è uno dei giocatori più forti della storia, non solo italiana. Allo stesso tempo rimane un personaggio malinconico. L’eccessiva sofferenza fisica lo ha segnato, così come alcuni passaggi della parabola calcistica, segni indelebili e profondi. Paradossalmente, tutti abbiamo in mente la sua sagoma con il capo chino, a Pasadena, dopo aver sbagliato il rigore ad Usa 1994 che consegnò la Coppa del Mondo al Brasile. Il calcio è così, non ha memoria, è spietato ed implacabile.
Siamo programmati per ricordare i momenti negativi piuttosto che quelli positivi. Il sistema è cinico, la sconfitta o l’errore resta, la vittoria passa in archivio velocemente. Quel rigore fece dimenticare a tutti chi trascinò gli Azzurri di Sacchi nel rovente percorso americano. Quell'errore annullò ogni merito, oscurò il suo talento, segnò la sua anima più che la sua carriera: “Ancora non mi perdono il rigore sbagliato nel 94′. Avrei preferito che me lo parassero o che prendessi il palo. Tirarlo alto è stato ancora peggio. Spararlo così nel cielo, ancora non me lo perdono”.
Una grande responsabilità che Roberto ha il merito di essersi preso, soprattutto quando rappresenti un intero Paese che vive delle emozioni legati al pallone. Il bello o il brutto del calcio è che spesso ti consente di avere una seconda opportunità, una rivincita, per dimostrare almeno a te stesso di avere carattere e coraggio. Se negli Stati Uniti fallì, a Francia 1998 Baggio ebbe l’ostinatezza di ripresentarsi sul dischetto nel match d’esordio contro il Cile, calciando e segnando il penalty del definitivo 2-2 a pochi minuti dal termine. È vero, non avrà avuto lo stesso peso, ma fu comunque liberatorio e significativo.
Sensazioni forti vissute con la maglia azzurra della nazionale italiana. Il Divin Codino è un’icona, come fosse un prodotto di eccellenza del Made in Italy di cui vantarsi, di cui esser grati di averlo visto, conosciuto, provato. Tra Baggio e la Nazionale c’è sempre stato qualcosa di speciale: Baggio con la maglia azzurra non è solo una questione di calcio, ma è simbolo di un’epoca storica, economica e culturale del nostro Paese.
Maradona sta all'Argentina come lui all'Italia. Un amore ricambiato, un legame viscerale. Rappresentato probabilmente dall'applauso tributatogli dallo Stadio San Siro, il 16 maggio 2004, nell’ultimo match giocato contro il Milan con il suo Brescia e sancito dal commovente abbraccio con un'altra leggenda come Paolo Maldini. Quello non era la standing ovation di uno stadio ma dell’intero movimento calcistico italiano.
“Quando si dice che la maglia azzurra è il punto di arrivo per ogni giocatore, si dice solo la verità”
Parlare dei trofei vinti sarebbe riduttivo, così come focalizzarci solo sulle sconfitte o i momenti difficili.
Per definire i confini del suo profilo ci affidiamo a ciò che raccontano gli altri, quelli che lo hanno incontrato, che lo hanno vissuto, che ci hanno giocato insieme. Non è un mistero che Pep Guardiola decise di andare a Brescia proprio per condividere lo spogliatoio con Roberto, suo idolo di sempre. Anni dopo, ospite dell’allora allenatore del Barcellona, durante i quarti di finale contro Arsenal nell'aprile 2010, Pep presentando Baggio ad un certo Leo Messi disse: “Lui è il giocatore più forte con cui ho mai giocato”.
La scelta di Brescia, 4 stagioni con 95 presenze e 45 reti, in quell'esatto momento, rappresentò al meglio la passione disinteressata di un campione. Un uomo vero che si è legato ad un altro personaggio puro, quanto burbero, dell'epoca: Carlo Mazzone. In fondo, una persona la puoi provare ad interpretare anche attraverso i rapporti ed i legami che ha.
“Posso solo dirgli grazie. Mi ha dato, credendo ancora in me, la possibilità di vivere quattro anni in più di calcio, anni belli, pieni di significato. È una persona schietta, sincera, in un mondo in cui spesso vanno avanti i ruffiani, i leccaculo, gli opportunisti”
Una stima infinita ricambiata ovviamente dall'allenatore. Si racconta che una volta, al campo di allenamento del Brescia, Roberto Baggio si presentò con il cane. Mazzone non la prese bene, chiedendo per tutto il centro sportivo di chi fosse il cane. Qualcuno gli rispose - “Mister, è di Roberto!” – ed il mitico tecnico romano aggiunse - “Ok, allora dategli un biscottino!”.
Baggio è qualcosa che conquista ed attrae, che genera una sorta di riverenza e rispetto anche nei personaggi più duri. In particolare, Bologna e Brescia lo hanno idolatrato, lasciandolo libero di esprimersi. Un Re in Provincia che, però, è rimasto sempre se stesso, senza mai approfittare del suo ruolo, della sua aurea.
Un rispetto generato anche dalla schiettezza.
Ha parlato poco, ma sempre in maniera diretta, sincera. Da questa base nasce il rapporto splendido con Mazzone e gli scontri con diversi suoi tecnici e qualche dirigente. Roberto non le ha mai mandate a dire, come nella sua ultima intervista rilasciata a "La Repubblica", dove ha (qualora ce ne fosse stato bisogno), ribadito la lontananza con il calcio di oggi, un qualcosa che non lo attrae più come una volta, non risparmiando nemmeno alcuni suoi ex-colleghi. Un’ uscita che ha destato qualche polemica, ma che ne definisce ancora una volta il profilo umano (e disinteressato) più che sportivo.
“Non mi emoziona più. Non vedo praticamente partite, preferisco il basket. Dare giudizi sugli altri mi mette a disagio, per questo non vado neanche in tv. Vedo ex compagni che parlano come professori quando in campo non riuscivano a fare tre palleggi”.
Il Divin Codino prende le distanze dal calcio di oggi, quanto di più lontano ci sia da quell'epoca in cui indossava gli scarpini. Senza ipocrisia né retorica, si è defilato in silenzio.
Baggio ha vissuto in pieno l’inizio del calcio moderno e del business, degli sponsor sulle maglie e dei contratti miliardari. Quello che però ha sempre rifiutato o meglio schivato, è l’apparire, le luci della ribalta e le serate di gala.
Baggio è un personaggio differente, un calciatore non convenzionale, un uomo schietto. Tutto cambia, gli anni passano, ma non possiamo nasconderci, abbiamo finalmente compreso nel profondo ciò che ci aveva anticipato Cesare Cremonini in Marmellata n. 25:
“Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica…”