[ESCLUSIVA] Michele Padovano si racconta: "Spero che la mia storia insegni a non giudicare nessuno"

Dopo la recente uscita del documentario in due puntate, realizzato da Sky Sport, "Michele Padovano-Innocente, 17 anni senza libertà", l'ex attaccante ci ha concesso un'intervista per approfondire la sua vicenda

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Una carriera costellata di successi in bianconero e poi un calvario giudiziario di quasi 20 anni, con la pesante accusa di aver finanziato un traffico di droga in Marocco nel 2006, terminato con l’assoluzione, per non aver commesso il fatto, solo nel 2023.

Una vicenda umana davvero sconvolgente, quella di Michele Padovano, che recentemente ci ha concesso un’intervista nella quale si è aperto con noi, raccontandoci le sue sensazioni, il suo vissuto in campo, e questo lungo percorso che ha segnato gli ultimi 17 anni della sua vita.

(immagine di copertina presa dal profilo X @digitalsat_it)

Ciao Michele, grazie della disponibilità.

 

Nelle scorse settimane, Sky Sport, (con cui Padovano attualmente lavora) ha pubblicato un documentario, riguardante la tua vicenda giudiziaria, dal titolo “Padovano Innocente, 17 anni senza libertà”. Che effetto ti ha fatto vederlo?

“E’ stata una sensazione fortissima, vedere mio figlio e mia moglie parlare così apertamente delle sensazioni e del dolore, che hanno vissuto in quel periodo, mi ha suscitato diverse emozioni. Sono felice che questa esperienza si sia conclusa nel migliore dei modi, voglio andare avanti”.

 

 Che messaggio vorresti lasciasse nelle persone che lo guardano?

“Mi piacerebbe che si imparasse a non giudicare nessuno superficialmente. Io ho vissuto il pregiudizio e so quanto possa far male”.

 

 Come è nata l’idea del documentario? Tu come l’hai accolta?

“Il direttore di Sky Sport, Federico Ferri ha spinto molto per portare a termine questo progetto. Io sono rimasto davvero contento, il risultato finale è molto bello. Il fatto che io abbia girato dentro il carcere in cui, in precedenza, sono stato detenuto, ha generato un insieme di emozioni particolarmente impattante. In fin dei conti però, in quei momenti, pensavo che l’unica cosa che contava davvero è che ero finalmente libero”.

 

Pensi che l’abitudine a vivere sotto pressione, che hai avuto in eredità dall’esperienza da calciatore, ti abbia aiutato a superare i momenti più difficili, in questi anni così complicati?

 “Può darsi, ma credo che le risorse che ho trovato dentro di me per affrontare le difficoltà, siano derivate dal mio carattere e dalla mia famiglia, che è stata il supporto più importante”.

 

Hai mai avuto perso la fiducia nella giustizia durante tutti questi anni?

“Qualche dubbio mi è venuto, soprattutto dopo le condanne, ma non ho mai smesso di lottare perché sapevo di essere innocente. Il calvario è stato lungo ma alla fine ne sono uscito come volevo. Oggi sono un uomo libero che crede nella giustizia”.

 

Ti senti cambiato da questa esperienza?

“Sì, e anche se ne avrei fatto volentieri a meno, mi sento una persona capace di dare importanza ai valori veri della vita. Prima avevo rubrica e casa piene di gente, che poi però non c’è stata nei momenti più difficili. Oggi so chi sono gli amici veri e soprattutto sono consapevole che nessuno è più importante della mia famiglia.

Senza mia moglie e mio figlio non sarei mai riuscito a superare tutto questo”.

 

 

Come hai raccontato nel documentario una persona che ti è stata sempre vicina è stata Gianluca Vialli. Come lo descriveresti?

“Per me Gianluca è il migliore di tutti sotto tutti i punti di vista. Un leader in campo, un amico importante, sempre disponibile e sensibile fuori. Non mi piace parlarne al passato perché ha lasciato un segno profondo nella mia vita, per me non morirà mai. Quando ero in carcere telefonava sempre a casa per sapere se stavo bene e quando mi chiamava, mentre ero agli arresti domiciliari, la commozione ci impediva di parlare”.

 

Proprio con Vialli hai condiviso la vittoria della Uefa Champions League con la Juventus nel 1995-1996, ci racconti quel trionfo?

“Quello alla Juventus è stato il momento più bello della mia carriera, mi ha permesso di vincere tutto, nel giro di pochi anni. Laurearsi campioni d’Europa con questa maglia è stata una gioia, difficile da raccontare a parole.

Abbiamo scritto una piccola pagina di storia del club. Spero che la Juventus possa tornare presto a vincerla, il popolo bianconero lo merita”.

 

Qual è il gol al quale ti senti più legato, quelli che hai fatto durante il tuo percorso in campo?

“Per importanza della gara e prestigio dell’avversario sicuramente quello nei quarti di finale di quella Champions, contro il Real Madrid (vinti per 2-0 nda). E’ stato il gol qualificazione, con il quale abbiamo ribaltato la sconfitta, per 1-0, del Bernabeu. Quella partita ci ha dato maggior consapevolezza, in più sapevamo che la finale era a Roma e volevamo arrivarci a tutti i costi”.

 

Nel documentario viene raccontato l’aneddoto di Vialli, che riprende il ritiro, alla vigilia di quella gara, con una telecamera. Come hai vissuto quel momento?

“Io e tutti i miei compagni pensavamo fosse un pazzo. Solo uno come lui, con la sua esperienza e il suo carisma, poteva fare una cosa del genere. La situazione è stata quasi surreale, ma ci ha concesso di stemperare la tensione”.

 

Con quale stato d’animo vivevi il giorno prima di una gara importante?

“Sono sempre stato molto sereno, riuscivo a estraniarmi completamente dal contesto e a dormire serenamente”.

 

Che ricordi hai dei rigori della finale di Roma contro l’Ajax nel 1996?

“Ero sicuro che avrei tirato e nel momento della scelta dei rigoristi mi sono messo subito a disposizione di Lippi. La camminata tra il centro del campo il dischetto è stata bellissima perché ero convinto che avrei segnato, nonostante avessi davanti van der Sar”.

 

 

 

 

 

 

 

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