Luis Enrique Martínez García: l'arte di comunicare
In un calcio che negli anni si è trasformato in un “tritacarne” cinico e spietato, che condanna dopo una sconfitta e santifica alla prima mezza vittoria le persone, gli atleti, i tecnici e i dirigenti, c’è chi ha dimostrato, partita dopo partita, stagione dopo stagione, una coerenza a dir poco unica, tirando sempre dritto per la propria strada con orgoglio e fierezza. Soprattutto, dicendo costantemente la sua, nella buona e nella cattiva sorte.
È il caso di Luis Enrique. Questo è il profilo del tecnico della nazionale spagnola, a nostro modo di vedere.
Per alcuni, pochi, detrattori le sue dichiarazioni sono generate da una retorica passata e superata dai tempi moderni e dalle richieste del calcio attuale, più attento al business piuttosto che ai sentimenti. Per altri, anche per chi scrive, è una tipologia di comunicazione da apprezzare ed evidenziare, quel tone of voice distintivo che tanti cercano e ricercano ma che in pochi riescono ad imporre e trasmettere.
"La colpa è mia che non sono riuscito a dare il cento per cento e a non valorizzare tutti voi. Questa è una sconfitta ma non me la prendo con nessuno". Si congedò così dall’AS Roma, il giorno dopo l’esonero, nonostante l’ambiente giallorosso lo esaltò e lo scaricò senza pietà in troppo poco tempo. Un primo segnale, una prima lezione di comunicazione come di responsabilità che avrebbe dovuto farci riflettere.
Il professionista si forma e si vede nelle sconfitte così come l’uomo, troppo facile emergere nelle vittorie. Quello di valore sa convivere con le delusioni, accentandole. La retorica, le frasi di circostanza, vengono letteralmente abbattute dalla coerenza, dalla costanza e dalla capacità di mantenere, nonostante le pressioni del campo e della vita, una certa oggettività.
Dopo la sconfitta contro gli Azzurri nella semifinale dell’ Europeo in conferenza stampa parlò così: "Quando sei un professionista devi saper vincere ma anche saper perdere. Il nostro avversario ha fatto tante cose buone e bisogna fargli i complimenti, noi usciamo con la consapevolezza di essere tra i migliori. In finale tiferò Italia".
Lo stile di Luis Enrique è un mix tra obiettività e fair play. È la testimonianza che nel calcio c’è ancora qualcosa e qualcuno di concreto. La stampa spagnola, attenta e appassionata, a volte c’è andata giù pesante, anche ultimamente. Lui ha sempre incassato, ha risposto, si è trasformato in un vero e proprio scudo per proteggere la squadra, le sue scelte e alla fine, è volato in Qatar passando dalla porta principale.
In realtà, l’ostilità di parte dei media spagnoli è data da alcuni attacchi sferrati dal tecnico alla Società spagnola: “Nel Paese dei tamburelli, non so se la tecnologia possa aiutare gli arbitri". Parlando del VAR, Luis Enrique, in modo più o meno elegante, ha criticato quello che è il lato superficiale del suo Paese utilizzando la frase popolare "un Paese di calcio, tori e tamburelli". Il significato? Un detto che descrive una società ignorante, legata al passato, a tradizioni arcaiche e retrograde, attenta più al gioco che alle questioni “serie”. Questa uscita fa parte del personaggio e va inserita nella nostra analisi comunicativa. Un attacco nemmeno tanto velato che ancora oggi non è stato dimenticato. Ma se dobbiamo tracciare un profilo è giusto sottolineare anche i lati spigolosi, le scelte comunicative discutibili.
Al di là dei pareri della stampa, è stato (oggettivamente) un calciatore straordinario, capace di mescolare fioretto e spada: un po’ quello che accade spesso oggi in sala stampa. Il presente parla di un tecnico vincente che, se da un lato ha avuto la fortuna di guidare un Barcellona stratosferico, dall’altro è stato capace d’ imprimere la propria mano sulla squadra, forgiandola nel gioco come nel carattere.
"Se non vi piace il mio stile, non me ne frega niente... per dirla educatamente", tuonerà in una conferenza stampa come tecnico della Roja”. Per tornare al carattere duro e spigoloso.
Come tutti, non è perfetto, ma sicuramente il suo stile di comunicazione è riconoscibile e, ci ripetiamo, coerente. Anche Daniele De Rossi, in un’intervista dello scorso anno ne ha sottolineato l’indiscussa personalità e la capacità di gestione del gruppo, dove la comunicazione è elemento centrale.
Uomo retto, persona solida, poco incline a trovare alibi e scuse: "Ormai sono nel calcio da 30 anni e non ho mai parlato in modo negativo degli arbitri. Non abbiamo la prospettiva migliore da bordocampo. Non posso esprimermi non sono abituato a esprimere giudizi sulle scelte e l'operato dell'arbitro, preferisco restare concentrato sulla partita".
Questo dopo la finale di Nations League persa con la Francia in merito al gol di Mbappé. Ancor prima, nella semifinale contro l’Italia, dopo qualche fischio di San Siro all’inno spagnolo: "L’inno italiano è così bello che iniziare una partita così è una sensazione bellissima. In merito ai fischi al nostro inno, erano solo poche persone e ho visto anche Bonucci e altri fare gesti per dire di non fischiare, non è successo nulla". C’è chi alimenta polemiche e discussioni e chi minimizza. Chi vede il bicchiere mezzo pieno apprezzando e sottolineando il gesto dei giocatori azzurri piuttosto che enfatizzare i fischi di qualche ignorante.
Non è facile trovare personaggi del genere nel mondo del calcio di oggi. Prima si andava in conferenza stampa con pochi peli sulla lingua, spesso senza freni, nel bene e nel male. I protagonisti erano liberi di esprimersi e gli appassionati di capirne carattere e pensieri. Nel tempo, con la tv prima e i social poi, la conferenza stampa si è trasformato in un atto dovuto e ripetitivo, dove l’obiettivo è, in primis, non creare problemi piuttosto che dire la propria. Sono tutti per lo più vigili a non cadere nel tranello di qualche giornalista o vittime del proprio istinto, delle emozioni del momento. In questo contesto, troviamo Luis Enrique che, dopo una sconfitta con il Barcellona disse: “Se nel calcio vincessero sempre quelli con i giocatori più forti sarebbe più noioso di ballare con tua sorella". Come dargli torto?
Brilla l’onestà intellettuale, elemento distintivo di un tone of voice che abbiamo ricostruito come un puzzle, condividendo i virgolettati più interessanti e che poggia sulla coerenza quanto sull’oggettività, sul rispetto, evidentemente su una forte personalità, sul carattere dell’uomo. Che piaccia o no, questo è lo stile comunicativo di Luis Enrique, grande tecnico e comunicatore.