La Lazio vuole il Flaminio: la storia dello sfortunato stadio di Roma
La Lazio e Claudio Lotito vogliono lo stadio Flaminio. Da diversi mesi si parla dell’interesse del club biancoceleste per l’impianto, da anni abbandonato, ubicato lungo viale Tiziano.
Una potenziale grande risorsa nel cuore di Roma, da oltre un lustro alla ricerca di qualcuno che possa strappare il Flaminio al degrado che lo ha avvolto a partire dal 2014.
Quel qualcuno, dunque, potrebbe essere proprio il Presidente della Lazio: nei giorni scorsi, infatti, Lotito ha inviato una lettera via pec, vista e protocollata con il bollo del Comune lo scorso giovedì.
Un atto formale importante che pone la ceralacca sull’interesse della Lazio nei confronti dello stadio Flaminio per il futuro.
La mail ha trovato pronta risposta da parte del Campidoglio che, in cinque giorni, ha fornito alla società di Via di Santa Cornelia la documentazione che sarebbe necessaria per ridare vita al Flaminio.
Qualora la Lazio valutasse positivamente la fattibilità economica e logistica dell’operazione, si potrebbe veramente procedere in tempi brevi, come sottolineato anche da Alessandro Onorato, assessore allo sport, turismo, grandi eventi e moda del Comune di Roma.
Dalla costruzione all’abbandono
Progettato dall'architetto Antonio Nervi, il Flaminio venne costruito tra il 1957 e il 1958 (quando già Roma e Lazio avevano iniziato a utilizzare stabilmente l’Olimpico, ndr) e fu inaugurato il 19 marzo 1959 con una partita fra le selezioni dilettantistiche italiane e olandesi, trasmessa anche in diretta tv.
La sua realizzazione, attuata sulle ceneri del vecchio stadio Nazionale, fu necessaria per ospitare gli incontri del torneo di calcio delle Olimpiadi di Roma del 1960.
Il costo totale dell’opera si aggirò sui 900 milioni di lire dell’epoca; una cifra importante, anche in virtù dell’istallazione di molte avanguardie tecnologiche per l’epoca: un impianto acustico di ultima generazione, un potente sistema di illuminazione, una modernissima sala stampa dotata di cabine telefoniche e sale telescriventi.
Non poche furono le polemiche per la scelta del nome: prima della sua demolizione, lo stadio Nazionale era stato dedicato al Grande Torino, scomparso nella tragedia di Superga.
La denominazione “Flaminio" fu ritenuta più iconica e riconoscibile dal Comune di Roma, con l’avallo del CONI, ma non mancò di scatenare una piccata protesta proveniente dalla città piemontese.
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La sua funzionalità calcistica, tuttavia, venne presto offuscata dall’interesse del mondo del rugby: già a partire dagli anni settanta, la palla ovale inizio a popolare il prato del Flaminio molto più spesso di quanto facesse la collega a esagoni.
La Nazionale italiana di Rugby lo adottò come casa, così come fecero la Rugby Roma e la SS Roma.
Solamente negli anni ’80 il calcio tornò saltuariamente protagonista al Flaminio. Fu merito della Lodigiani, storica società capitolina che si era guadagnata la Serie C1.
Destino simile a quello, quasi vent’anni dopo, dell’Atletico Roma. Anche Lazio e Roma utilizzarono temporaneamente l’impianto nella stagione 1989-90, per via dell’inagibilità dell’Olimpico dovuta ai lavori di ammodernamento in vista di Italia 90.
Fu l’ultima volta che il Flaminio ospitò giallorossi e biancocelesti in campionato. Questi ultimi, infatti, vi tornarono in via del tutto eccezionale nel 2006 - in quella che, ad oggi è l’ultima volta - per una sfida di Coppa Italia contro il Rende.
L’idea (fallita) della FIGC
La Federazione Italiana Rugby, nei primi anni duemiladieci, decise di migrare in maniera definitiva all’Olimpico: troppo piccolo per la richiesta di biglietti relativa dalla partecipazione degli Azzurri al Sei Nazioni.
Nel 2013 la FIGC, guidata da Giancarlo Abete, intervenne sul futuro dello stadio Flaminio.
L’idea di Abete era quella di rendere l’impianto la propria casa romana: centro di allenamento, un museo, possibile sede degli incontri delle selezioni delle Nazionali dall’Under 21 a scendere. Si procedette: il Flaminio venne ufficialmente assegnato per un anno alla FIGC il 26 febbraio del 2014.
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Tuttavia, il fallimentare risultato della Nazionale ai Mondiali di Calcio brasiliani del 2014 determinò tuttavia le dimissioni di Abete e di tutta la dirigenza, Pancalli compreso.
Il nuovo Presidente federale Carlo Tavecchio, ufficialmente per ragioni di carattere economico dovuti ai costi di ripristino del Flaminio, bloccò in seguito l'intero progetto mandando a scadenza l'assegnazione provvisoria.
La volta buona?
Negli anni, infatti, diversi tentativi e progetti di restauro erano caduti nel dimenticatoio, nonostante l’impianto iniziasse a palesare i segni degli oltre sessant’anni di storia. Fra coloro che presentarono un plan ci fu anche Renzo Piano.
Il passaggio dell’opera a bene di interesse artistico e storico sotto tutela, avvenuto nel 2008, e la contrarietà degli eredi della famiglia Nervi (proprietari della proprietà intellettuale e i diritti morali sul Flaminio) ai vari piani di restyling ha sempre complicato ulteriormente ogni idea di rinnovamento.
Anche in tal senso, tuttavia, qualcosa pare essere cambiato. Proprio nel momento in cui sembra muoversi concretamente qualcosa affinché il Flaminio risorga, Pier Luigi Nervi, nipote dell’architetto che lo progettò, ha aperto all’idea di una ristrutturazione profonda dello stadio, vedendo proprio in Claudio Lotito una figura affidabile per la sua realizzazione.
«Speriamo di essere coinvolti nel nuovo progetto - ha spiegato Nervi, presidente della Pier Luigi Nervi Project Association - ma sarebbe un sogno vedere giocare la Lazio di nuovo lì, con il suo stadio, per me che ne sono tifoso. Ho la certezza che Lotito è una persona seria e quando dice una cosa sa quello che dice».
Chiaramente, sull’impianto pendono i soliti vincoli imposti dallo status di bene di interesse artistico e storico, ma le idee della Lazio possono, finalmente, restituire a Roma uno dei più grossi sprechi, a livello infrastrutturale, dello sport e del calcio italiano.
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