Il calcio inglese boicotterà i social network il prossimo weekend
Riusciamo ancora a immaginare, dopo tutti questi anni, un calcio senza social network?
Senza notifiche, video che ti incollano allo smartphone, ma anche aggiornamenti in tempo reale dalle pagine che hai deciso di seguire. Tra qualche giorno l’immaginazione servirà a poco dato questo scenario diventerà reale e decine di milioni di tifosi e appassionati di tutto il mondo si troveranno catapultati nel passato.
Le più alte cariche del calcio inglese hanno indetto un blackout totale dei social network – ovvero dei canali Facebook, Instagram e Twitter – per il prossimo fine settimana, dal pomeriggio di venerdì 30 aprile alla mezzanotte di lunedì 4 maggio, per protestare contro "gli abusi discriminatori continui e prolungati ricevuti online dai giocatori e da molti altre persone che lavorano nel mondo del calcio".
Allo sciopero hanno aderito la Federazione, i primi due livelli del football professionistico sia maschile che femminile (inclusa quindi la Premier League), gli arbitri e il sindacato dei calciatori. Potrebbero prenderne parte anche le televisioni BT Sport e Sky Sports.
Calcio inglese in fermento
La situazione è critica. In questi mesi sono stati troppi gli insulti e le minacce online che hanno coinvolto i protagonisti della Premier League e degli altri tornei. Compresi dirigenti, arbitri, fino ai commentatori e ai giornalisti. In una stagione dove tutto lo sport si è attivato come non mai per difendere la giustizia sociale e porre fine alle discriminazioni, incluso il movimento Black Lives Matter che ha visto gli sportivi in prima linea.
Razzismo e odio, però, hanno continuato a proliferare su internet, in particolare sulle piattaforme social, senza che quest’ultime riuscissero a mettere in pratica azioni di contrasto realmente efficaci. Il boicottaggio di Facebook, Instagram e Twitter non arriva all'improvviso, ma al termine di una serie di atti di protesta. Così nel prossimo fine settimana tutte le istituzioni si coalizzeranno per uno sforzo senza precedenti nel combattere gli abusi online. E poco importa se i canali resteranno spenti nel weekend in cui va in scena il big match tra Manchester United e Liverpool.
Nelle scorse settimane avevano messo in stand by i propri social network i club di Championship Birmingham e Swansea, dopo che alcuni calciatori di quest’ultimo - Yan Dhanda, Ben Cabango e Jamal Lowe – erano finiti nel mirino dei razzisti. Lo stesso hanno deciso di fare i Glasgow Rangers. Tra le vittime ci sono anche Anthony Martial e Marcus Rashford, così come Reece James del Chelsea. Infine di recente Trent Alexander-Arnold e Sadio Mane del Liverpool hanno ricevuto commenti raffiguranti l’emoji della scimmia sotto ai loro post. Quel giorno il capitano dei Reds, Jordan Henderson, ha pensato a lungo a un boicottaggio dei social, per poi decidere di intraprendere un’iniziativa di sensibilizzazione dei propri follower lasciando che a postare i contenuti sui suoi profili fosse Cybersmile Foundation, un’organizzazione che combatte il cyberbullismo e fornisce supporto alle vittime.
“Il comportamento razzista di qualsiasi forma è inaccettabile e non si può permettere che i terribili abusi nei confronti dei giocatori sui social media continuino" ha dichiarato Richard Masters, amministratore delegato della Premier League, nel comunicato con cui è stato annunciato il boicottaggio del prossimo weekend. "Il calcio è uno sport che unisce comunità e culture di ogni provenienza ed è questa diversità a rendere migliore la competizione". Si è poi rivolto al Regno Unito chiedendo di "introdurre una legislazione che renda le piattaforme più responsabili riguardo ciò che accade al loro interno".
La Premier League e le altre istituzioni calcistiche britanniche erano intervenute con una lettera aperta già l’11 febbraio, avanzando alcune richieste a Jack Dorsey, amministratore delegato di Twitter e al fondatore di Facebook (che controlla anche Instagram) Mark Zuckerberg condannando “il linguaggio minaccioso e illegale” degli insulti, che “causa angoscia ai destinatari e alla stragrande maggioranza delle persone che detestano il razzismo, il sessismo e le discriminazioni di qualsiasi tipo”.
Questi i punti salienti:
- I messaggi e i post devono essere filtrati e bloccati prima di essere inviati o pubblicati se contengono materiale razzista o discriminatorio;
- Attuare misure trasparenti e rapide per eliminare i contenuti offensivi che entrano in circolazione;
- Tutti gli utenti dovrebbero essere soggetti a un processo di verifica più preciso che (solo se richiesto dalle forze dell'ordine) consente l'identificazione accurata della persona dietro l'account. È inoltre necessario impedire a chi offende di registrare un nuovo un account.
L’esempio degli Stati Uniti
La convinzione del calcio inglese, in poche parole, è che i proprietari dei social non stiano facendo abbastanza e non riescono né a filtrare né a eliminarli con rapidità casi di hate speech. Non che sia facile data la quantità di nuovo materiale che ogni secondo viene pubblicato sui social, considerando che con stadi e pub chiusi la gioia – e purtroppo anche la frustrazione – di chi segue le partite si è riversata sul web. E che durante la pandemia i profili di calciatori e club sono rimasti l’unico canale di accesso diretto alla propria squadra. Quello che si augurano in Federazione è che il weekend di silenzio faccia riflettere tutti riguardo un uso più consapevole e “legale” di questi strumenti. Dal canto loro, sia Zuckerberg che Dorsey hanno provato a rivendicare i passi in avanti compiuti nell'eliminazione delle fake news e dell’odio negli scorsi mesi.
Così sei importanti squadre di Premier League hanno preso contatti con Respondology, un’azienda americana che ha sviluppato uno strumento che permette di ridurre in tempo reale l’esposizione dei calciatori e delle società alle minacce e alle offese dei social. Dopo un qualche mese di prova, vorrebbero renderlo pienamente operativo a partire dalla prossima stagione.
Con questo tool, assicurano dagli Usa, diversi piloti della Nascar e una trentina di franchigie tra Nba, Nfl e Nhl hanno migliorato realmente la situazione. Una volta istallato Respondology riesce a riconoscere ed eliminare in tempo reale commenti discriminatori e offensivi grazie a un software d’intelligenza artificiale che funziona tramite parole chiave personalizzabili, comprese le emoji. Per affinare il lavoro si avvale poi di mille moderatori umani che “correggono” eventuali errori della macchina, ad esempio “salvano” quelle critiche espresse in maniera corretta che potrebbero venire eliminate oppure intervengono su quelle espressioni dialettali o sugli errori di battitura che l’AI non ha riconosciuto.
Purtroppo anche questa soluzione, se adottata, non sarà priva di limiti perché Respondology non è in grado di moderare i commenti su Twitter, dove andranno adottati altri interventi, mentre sarà operativo su TikTok entro l’estate fa sapere il numero uno dell’azienda, Erik Swain. Né può fare niente per impedire che gli insulti siano recapitati tramite messaggio privato.