I 5 momenti più folli della storia degli Europei
La traiettoria perfetta
Un gol indimenticabile che è entrato nella storia del calcio mondiale per esecuzione e perfezione. Un movimento e un gesto tecnico che lasciarono tutti a bocca aperta: tifosi allo stadio, spettatori in tv e protagonisti in campo. L’istantanea che celebra il talento di Marco Van Basten, attaccante straordinario e punta di diamante di un’Olanda ricca di campioni, da Koeman a Rijkaard, passando per Gullit.
Il palcoscenico è l’Olympiastadion di Monaco di Baviera, il contesto la finale dell’Europeo 1988 tra URSS e Olanda. È il minuto 54 quando dalla sinistra Arnold Mühren fa partire un cross non proprio definibile perfetto. Una traiettoria alta e lunga, ma a Van Basten questo particolare sembrava non interessare. Tiro al volo perfetto e palla che s’insacca alle spalle del portiere. Una conclusione, a suo dire, "facilitata" dal piede fermo e rigido per via di una fasciatura che portava in quei giorni. Tutto il pubblico si alza in piedi, applausi a scena aperta per i fortunati che hanno appena assistito ad uno dei gol più straordinari ed impossibili di sempre. Rinus Michels, condottiero e leggenda di quegli Orange si alza in piedi incredulo, mettendosi le mani in volto tanto era lo stupore per la giocata del "Cigno di Utrecht".
Lo stesso Marco Van Basten, in una recente intervista ha affermato che “non ho capito davvero quello che avevo fatto e si può notare dalla mia reazione. Era come se mi chiedessi – Cosa sta succedendo?”. Succede, che l’Olanda conquista il titolo europeo grazie ad un fenomeno ed una squadra di campioni che resterà per sempre nella storia di questa competizione.
Da Cenerentola a Sirenetta
C’è un filo simbolico che lega la Nazionale danese del 1992 al Leicester di Claudio Ranieri Campione d’Inghilterra del 2016. Questo filo passa attraverso il cognome Schmeichel ed i nomi Peter e Kasper.
Se le Foxes hanno compiuto un’impresa straordinaria ribaltando le gerarchie del calcio internazionale a livello di club, lo stesse fece la Danimarca durante la nona edizione del Campionato Europeo disputatosi in Svezia. Dalla mancata qualificazione alla conquista del titolo.
La Jugoslavia venne esclusa a causa della guerra interna che il paese stava vivendo, e la Danimarca, giunta seconda alle spalle degli slavi nel girone di qualificazione, venne ripescata all’ultimo. I calciatori erano già in ferie, vennero convocati in fretta e furia per preparare un’avventura tanto imprevista quanto esaltante. L’entusiasmo venne subito smorzato dalla rinuncia di Michael Laudrup, capitano della nazionale, che declinò l’invito ritenendo il calcio difensivo del coach Richard Moller-Nielsen non adatto al suo talento. Nonostante questo il Girone è un’altalena di risultati ed emozioni, la Danimarca si qualificherà grazie al pareggio contro l’Inghilterra all'esordio e alla vittoria nell’ultimo match contro la Francia. Il mondo si accorge dei danesi, in semifinale la sfida è con l’Olanda di Koeman, Bergkamp, Rijkaard, Gullit e Van Basten. Il risultato sembra scontato, ma nel calcio le regole non sono scritte e tutto può accadere.
La semifinale è una battaglia che termina 2-2 e che verrà decisa ai rigori. Dopo una lunga serie di penalty realizzati, Peter Schmeichel chiude la porta a Marco Van Basten, trascinando la sua nazionale in Finale. Qui avverrà il delitto perfetto, la vittoria imprevedibile contro un altro squadrone. La Danimarca non tradisce, realizza il sogno, disegna i confini della sua favola, di un gruppo che è passato in un mese dalla delusione per la mancata qualificazione all'esaltazione per un'insperata vittoria. Anche la Germania deve arrendersi ai danesi: Jensen e Vilfort realizzano le reti decisive, le mani di Schmeichel fanno il resto.
Senza dimenticare la storia di Vilfort, l'attaccante che faceva spola tra Svezia e Danimarca per assistere la figlia Line di 8 anni malata di leucemia e che morì proprio qualche settimana dopo la finale con la gioia di aver almeno visto il papà salire sul tetto d'Europa.
E così la Danimarca è campione d’Europa 1992, soprattutto grazie all'esclusione della Jugoslavia. I danesi non dimenticarono questa cosa e versarono una parte dei soldi della vittoria in un fondo di solidarietà a sostegno dei popoli colpiti dalla guerra civile che la Jugoslavia stava vivendo.
Porta chiusa all'Amsterdam Arena
Olanda - Italia è la partita che dimostra come la fortuna aiuta gli audaci e la sfortuna, spesso, influenza il giudizio dei favoriti che non vincono. Il calcio è così, cinico, spietato, imprevedibile.
L’Amsterdam Arena, dopo oltre 120 pazzi minuti e la sequenza dei calci di rigore, si tingerà improvvisamente di una vernice azzurra, azzurro nazionale, grazie ad un match che rimarrà per sempre nei cuori degli italiani e nella testa degli olandesi.
L’inizio è tragicomico:l'espulsione di Zambrotta al 34’ del primo tempo è l’episodio che renderà ancor più epica la vittoria dei ragazzi di Dino Zoff. La partita è praticamente un monologo olandese che però quel giorno dovrà affrontare una sorte a dir poco avversa, oltre che un protagonista di oltre 190 cm vestito di grigio e con il numero 12 sulle spalle. Una maglia che diventerà storica non solo per l'evento a cui è legata ma anche perchè si tratta della prima volta in cui un brand tecnico (Kappa) appare sulla divisa da gioco della Nazionale italiana (il modello della maglia è la Kombat). Rigori sbagliati e parati nel corso della partita, pali, salvataggi e qualche contropiede italiano che ammutolisce la spinta dei tifosi orange.
Il momento decisivo però è quello dei rigori: il coraggio di Di Biagio che si ripresenta sul dischetto dopo l’errore di Francia 1998, il cucchiaio spavaldo e straordinario di Totti, il siluro sparato in tribuna da Stam ed i due rigori parati da Toldo (più un terzo durante la gara) mandarono l’Italia in finale e gli olandesi in psicoanalisi. L’esaltazione del gioco "all'italiana", la celebrazione per molti del catenaccio perfetto e l’esplosione di un gruppo davvero talentuoso che pochi anni dopo conquisterà il campionato del mondo. Olanda-Italia è un qualcosa che ogni tifoso di calcio, italiano e non, fatica a dimenticare, un lungo pomeriggio di sofferenza per gli azzurri che si trasformò in un trionfo per cuori forti.
Nell'Olimpo del calcio europeo
Impossible is nothing, recita il claim storico dell'Adidas. E proprio con indosso la maglia marchiata con le tre strisce, la Grecia confermò che questa frase era quantomai vera. Un cammino, quelli degli ellenici a Euro 2004, che porterà ad un successo imprevisto, imprevedibile e unico. Niente è impossibile, soprattutto quando c’è un pallone di mezzo.
I greci si presentarono in Portogallo come una cenerentola o quasi, un mix di giocatori esperti e navigati, altri sconosciuti con poche speranze di superare il girone di qualificazione. Sembrava una delle tante Nazionali di passaggio, una di quelle che aveva già compiuto l’impresa qualificandosi alla fase finale della competizione. Invece, all'esordio, la Grecia batte clamorosamente i padroni di casa del Portogallo per 2-1, pareggia con la Spagna la seconda partita ed esce sconfitta contro la Russia nell'ultimo match del girone, qualificandosi alla fase ad eliminazione diretta come seconda per differenza reti.
Il gruppo si compatta, prende fiducia e gioca in una maniera “antica”. Difesa ad oltranza, fisicità e contropiede, è la formula magica del CT di origine tedesca Otto Rehhagel. Uno non nuovo a questo genere d'impresa considerato che fu protagonista in panchina anche con il Kaiserslauten vincendo la Bundesliga 1997-1998 da neopromosso. La pozione greca funziona anche ai quarti di finale, quando Charisteas sconfigge la Francia favorita, buttando, ancora una volta il cuore oltre l’ostacolo.
In semifinale si deve inchinare anche la Repubblica Ceca, che nonostante una generazione di talenti viene respinta dal muro ellenico di Nikopolidis & co. Il sogno sembra arrivato alla fine, la finale ripropone la sfida con i padroni di casa lusitani che non possono permettersi di perdere, visto il talento e la straordinaria occasione di vincere il primo trofeo in casa. Ma il calcio è strano, la palla rotola dove vuole (e non è un caso che quella sarà la prima volta in cui venne utilizzato un pallone con cuciture non più a mano con l'esordio del famoso Roteiro) ed in questo caso specifico impatta sulla testa ancora una volta di Charisteas su calcio d’angolo di Basinas, regalando un titolo che manda in estati un piccolo, straordinario ed orgoglioso Paese.
Oltre a sovvertire i pronostici di ogni agenzia di scommesse. Curiosità? Il conduttore Emilio Fede scommise sulla vittoria della Grecia vincendo più di 200.000 euro che donò in parte in beneficenza.
Pararigori a mani nude
Si dice che la testa nel calcio faccia la differenza. Che per fare il calciatore ci voglia tanto carattere e che, per fare il portiere, si debba essere un po’ matti.
Non sappiamo se sia veramente così, ma sicuramente lo show di Ricardo Alexandre Martins Soares Pereira nei quarti di finale di Euro 2004 contro l’Inghilterra rimarrà per sempre nella storia degli Europei. Dopo un match spettacolare terminato 2-2 con le reti di Owen ed Helder Postiga nei tempi regolamentari e di Rui Costa e Lampard nei supplementari, si va ai rigori.
Lo Stadio Daz Luz di Lisbona assiste quasi in silenzio, tra paura e speranza. Dopo la sequenza dei 5 penalty si va ad oltranza. Sul dischetto va Darius Vassel per gli inglesi: ci vuole un gesto inaspettato, un qualcosa per mettere pressione all’Inghilterra.
Così Ricardo, decide di togliersi i guanti, il regolamento lo prevede ed il gesto è tanto folle quanto utile a metter pressione all'allora calciatore dell’Aston Villa. Vassel calcia alla sinistra di Ricardo che para, intercettando il pallone…a mani nude. I tifosi portoghesi impazziscono di gioia, gli inglesi abbassano il capo quasi in segno di resa. Ma non finisce qui!
Il portiere portoghese decide che quello è il suo momento, è la sua serata, il match che ricorderà per tutta la vita. Dopo aver neutralizzato il rigore va sul dischetto, senza paura, senza timore. Calcia, segna e fa impazzire un popolo intero. Ricardo contro gli inglesi: a mani nude e senza paura.